In una fresca domenica pomeriggio di fine autunno è bastato un minuto e mezzo di terrore per rovinare la quiete di una vasta area, ancora lontana dall’industrializzazione avanzante, e le vite di centinaia di migliaia di persone. Mancano pochi secondi alle 19,35, è il 23 novembre del 1980 e la terra trema fortissimo al confine tra Campania e Basilicata, tra Irpinia e Vulture, a cavallo delle province di Avellino, Salerno e Potenza. Una scossa di magnitudo 6.9, decimo grado della scala Mercalli, semina distruzione radendo al suolo case, strade, paesi interi. Una delle più grandi tragedie del novecento, per la quale fa paura anche solo elencare i numeri: 2914 morti, 8848 feriti, circa 300mila senzatetto. Cifre spietate come le immagini di Sant’Angelo dei Lombardi, il comune più colpito (quasi 500 deceduti), e delle sue abitazioni ridotte “a nidi di vespe” come scrisse Alberto Moravia nell’articolo per l’Espresso dal titolo “Ho visto morire il Sud”. O come quelle di Balvano, nel potentino, dove il crollo del soffitto della Chiesa Madre seppellì un gruppo di 66 persone composto principalmente da bambini e ragazzi.
Un’intera comunità in ginocchio che Papa Wojtyla provò a rialzare 48 ore più tardi con la sua visita
Lo strazio però durò per giorni interminabili, anche a causa della difficoltosa gestione delle operazione di soccorso. Fu il Presidente della Repubblica Sandro Pertini a lanciare l’allarme in diretta televisiva: “Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi” disse il capo dello stato italiano al TG2 il 25 novembre, dopo essere tornato dai luoghi della tragedia che aveva raggiunto in elicottero, nonostante il parere contrario dell’allora Presidente del Consiglio Forlani. Questo accorato resoconto, unito alle immagini di disperazione diffuse dalle televisioni in tutto il mondo, fece partire la macchina della solidarietà. Il Governo nominò l’onorevole Giuseppe Zamberletti Commissario straordinario, gettando così anche le basi per quella che poi con il tempo è diventata la struttura di Protezione Civile di cui oggi il Paese dispone. Assieme ai soccorsi iniziarono ad arrivare anche i primi aiuti internazionali. Stati Uniti, Germania, Arabia Saudita, Belgio, la cui estensione territoriale corrispondeva grossomodo a quella colpita dal sisma, e tanti altri.
Così iniziò la lunga e tortuosa strada della ricostruzione
Nel maggio del 1981 fu approvata la legge 219 che oltre a restituire linfa vitale ai 506 comuni danneggiati, proponeva l’ambizioso obiettivo di uno sviluppo industriale del territorio. Ma mentre la popolazione vedeva lentamente migliorare le sue condizioni di vita, passando dalle tende, alle roulotte ai prefabbricati e finalmente alle prime case, contemporaneamente si facevano strada fenomeni di sciacallaggio. Troppo allettanti i 50mila miliardi di lire stanziati dallo Stato, era chiaro che qualcuno avrebbe provato a metterci le mani: Irpiniagate e Terremotopoli sono i nomi coniati per alcune inchieste della magistratura fino ad arrivare a “Mani sul TERREMOTO” che rientrava nel filone di “Mani Pulite” e che nel 1992 coinvolse 87 persone. Oggi, a 40 anni di distanza, la ricostruzione si può dire quasi completata. Disattesa invece, fatte salve pochissime realtà, la prospettiva di sviluppo economico. In ogni caso le zone colpite dal TERREMOTO dell’80 sono sopravvissute e vanno avanti, seppur tra tante criticità legate anche all’abbandono, allo spopolamento e alla mancanza di lavoro per i giovani. Problematiche serie che andrebbero affrontate con chiarezza e determinazione.