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ALEX, ECCO LA TECNICA TRAPIANTO DI MIDOLLO CHE HA SALVATO LA VITA AL BIMBO 

Alessandro Maria Montresor, il piccolo di 18 mesi arrivato al Bambino Gesù di Roma per sottoporsi a un trapianto di midollo da genitore, è stato sottoposto lo scorso 20 dicembre una tecnica innovativa messa a punto dal nosocomio. La malattia si chiama Linfoistiocitosi Emafagocita primaria ed è un difetto delle cellule del sistema immunitario, incapace di gestire e respingere le infezioni. La patologia colpisce circa 1 nato su 50mila (quindi il numero di nuovi casi attesi in Italia è stimabile attorno a una decina l’anno) ed è frequentemente scatenata da un’infezione virale. È una malattia autosomica recessiva, entrambi i genitori cioè sono portatori sani del gene responsabile della patologia e a ogni fecondazione la coppia ha un rischio del 25% di generare un figlio con la malattia.

Dopo anni di ricerche è stato identificato il difetto che causa questa condizione. Si tratta della mancanza di una proteina essenziale per eliminare i virus che attaccano i linfociti: nel 40% dei casi è la perforina, in un altro 30% dei casi è Munc13-4, in casi più rari Syntaxin 11. Si manifesta nel primo anno di vita nel 70% dei bambini. Solo il 10% dei casi ha un esordio nel periodo neonatale. Il trapianto che Alex ha subito si chiama “emopoietico da genitore” con rimozione dei linfociti alpha/beta. È una procedura basata sulla manipolazione delle cellule staminali emopoietiche prelevate dal donatore per privarle selettivamente di tutti gli elementi che potrebbero aggredire l’organismo del ricevente. In assenza di un donatore perfettamente compatibile, questa tecnica rende possibile il trapianto di cellule staminali emopoietiche (comunemente detto trapianto di midollo osseo) anche da uno dei 2 genitori (compatibili con il proprio figlio solo al 50%). In questo caso le percentuali di guarigione sono sovrapponibili a quelle ottenute ricorrendo a un donatore perfettamente compatibile. All’Ospedale Pediatrico della Santa Sede la procedura è ormai consolidata. È stata utilizzata per il trattamento di più di 200 pazienti con risultati sovrapponibili a quelli ottenuti con i trapianti da donatore, familiare o non consanguineo, perfettamente compatibile.

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