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Basket. Derby, the day after

Considerazioni a freddo su Givova Scafati – GeVi Napoli

Non è facile scrivere di un derby, non lo è in nessuno sport. Anche un semplice Brooklyn Nets – New York Knicks di regular season, con entrambe le squadre in fase di rebuild, ha delle connotazioni emotive che rendono sempre poco lucide le analisi a caldo.

Serve far sedimentare quanto si è visto, magari anche rivedere la partita per cercare di cogliere quegli aspetti che, anche a porte chiuse, possono sfuggire in tempo reale.

Eccoci qui, allora, a guardare negli occhi 40’ minuti del miglior basket possibile in Serie A2 al giorno d’oggi. La GeVi ha vinto; ha vinto perché ha saputo stare attaccata alla partita soprattutto quando Scafati pareva averne di più. Ha vinto perché, forse unico caso nel campionato, non dipende così tanto dalla serata dei due USA a roster: Parks è stato nullo per tre quarti di partita, ai limiti del deleterio, un ectoplasma che vagava senza meta sul parquet del Pala Mangano. Ma l’impianto di gioco pensato da coach Sacripanti sopperisce e concede alla propria stella di prendersi mezz’ora di spina staccata; poi Parks si accende, lo fa nel momento in cui, più che una palla a spicchi, senti di avere tra le mani un pallone medicinale. Ha vinto, e l’ha fatto con il piglio della grande squadra, perché ha infinite varianti tattiche; Sacripanti, coach spesso catalogato come amante spassionato dei pivot di peso e rim protectors, tira fuori lo small ball che nessuno, Finelli compreso, si aspettava e rivolta la partita come un calzino.

La Givova ha perso, ed ha perso perché, più che la defezione di Tommaso Marino, ha pagato la mancanza di serenità, preoccupante per una squadra che punta al salto di categoria. I fattori che hanno causato questo nervosismo possono essere tanti, azzardiamone alcuni:

  1. La gestione Culpepper

Che l’ex Cantù potesse essere un pesce fuor d’acqua era opinione diffusa già dopo poche apparizioni; se poi, come trapelato da voci di corridoio, fosse vero il rifiuto di agire da playmaker come chiesto dal coach, non si capisce come questo giocatore abbia fatto anche solo un minuto in più di allenamento con i compagni. Non si può delegittimare il proprio tecnico in questo modo; ovviamente speriamo di sbagliarci.

  1. La sensazione di precarietà costante in seno al club

A Nello Longobardi vanno dati grandi meriti, la sua è una società storica che lui ha tenuto comunque ad alti livelli. Dire il contrario è un esercizio di disonestà intellettuale dal quale non ci si può che dissociare, come dimostrano i talenti passati dal palazzetto di Viale Della Gloria, leggasi su tutti un certo Datome. Però c’è un neo, e non è piccolo: troppo volubile e vulcanico il presidente gialloblu, pronto a mettere in discussione qualsiasi giocatore o allenatore alla prima difficoltà, creando un ambiente che è un fascio di nervi, dove la paura di sbagliare si tramuta in una frenesia che offusca la lucidità di chi calca il parquet. Prima di accusare, come sentito a bordo parquet, coach Finelli, si rifletta.

  1. Thomas-dipendenza

Due squadre in una, con e senza l’ala-pivot ex-Ravenna. La differenza di rendimento nelle due situazioni è stata evidente, con i giocatori gialloblu che perdevano sicurezza e cedevano l’inerzia agli azzurri. E va detto, ieri sera Thomas, nonostante i 23 punti, è stato molto limitato dalla difesa azzurra, fatturando più dalla lunetta che dal campo e cancellato da Zerini in un paio di occasioni. Jackson è giocatore di sistema, che ha segnato su azioni ben costruite, ma il roster della Givova è di valore assoluto anche nel pacchetto italiani, vanno messi in fiducia e non subordinati alle lune del pur straordinario Charles.

 

LA DIFESA

E che difesa, quella di coach Sacripanti. Napoli soffre all’inizio, contratta, poi stringe le maglie e concede poco ai giocatori di casa nel momento di maggiore difficoltà. Resta attaccata al match e solo qualche fallo ingenuo di troppo permette a Scafati di restare con il naso avanti grazie alle gite in lunetta (addirittura 35 liberi, di cui 29 segnati in tutta la partita) a fine terza frazione. Alla fine sono 78 i punti concessi, ma l’artiglieria che capitan Monaldi e compagni avevano di fronte era di quelle davvero pesanti.

Campanello d’allarme, invece, per coach Finelli. Nelle due sfide contro dirette concorrenti ha incassato 95 punti a Forlì e 90 da Napoli, media di 92,5; se la trasferta romagnola poteva essere catalogata come debacle puntuale, quella di ieri è la conferma che l’impianto difensivo gialloblu ha delle crepe profonde; quando concedi 90 punti, con percentuali non certo fuori dal comune, sei obbligato a prestazioni offensive sopra le righe che, come visto, non sempre arrivano, altrimenti staremmo parlando dei Phoenix Suns di Mike D’Antoni e Steve Nash. Sicuramente da rivedere la difesa allungata, apparsa troppo fragile.

L’ATTACCO

Anche ieri sera la GeVi si è presa le sue, pur piccole, pause, tenuta su da Marini. Ma ha faticato, all’inizio, contro la difesa schierata della Givova che era molto dinamica e quasi connessa al pallone, circostanza che ha permesso di punire la circolazione di palla azzurra, apparsa troppo lenta. I primi minuti di gara potevano contarsi, quasi, per tempi di gioco persi dall’attacco partenopeo, dai quali scaturivano palle perse o tiri mal costruiti, senza mai riuscire ad ottenere un vantaggio sulla difesa. L’ingresso di Mayo ha cambiato le cose, sopperendo ad un Monaldi più spento ma comunque decisivo nel momento clou; più che gli assist, sono le letture dell’ex Varese a pesare nell’economia del gioco azzurro, la sua gestione dei ritmi che ha mandato in crisi l’impianto difensivo di coach Finelli.

Dall’altro lato, Scafati è quel poco di Thomas ed una serie di folate dei vari Cucci, Rossato e Jackson, capaci di mantenere le distanze costruite in partenza ma mai di ammazzare la partita come ci si sarebbe aspettato sul +10 locale. Questo perché i giocatori gialloblu hanno un’importante dose di talento, ma non sono stati capaci di convogliarlo correttamente nei giochi offensivi disegnati da coach Finelli, forse proprio per la mancanza di serenità di cui abbiamo accennato.

A RIMBALZO

Alla fine i numeri si sono equilibrati, complice anche la stanchezza di Scafati che ha, poi, perso Benvenuti per raggiunto limite di falli. La GeVi, però, ha un problema sulle carambole: soprattutto nei primi scorci di partita tende a concedere qualcosina di troppo sotto il proprio canestro. Questo fattore è stato annullato dal resto del gioco azzurro ma resta un campanello d’allarme che Pino Sacripanti non lascerà inascoltato.

Bene la Givova, ma paga il cattivo dosaggio delle energie. Nel finale viene dominata, annichilita, e non basta l’assenza di Marino nelle rotazioni a spiegare il crollo verticale. Principale indiziato Benvenuti, autore di un fallo inutile (quinto personale), su un rimbalzo ampiamente perso, che ha privato i suoi del principale rim protector a disposizione, oltre che Thomas della libertà di spaziare in fase offensiva. Da uno come lui ci si aspetta maggiore lucidità.

INTANGIBLES

Daniele Sandri. Se guardiamo il tabellino, vedremo una valutazione di -3, a dimostrazione che, a volte, i numeri sanno essere più bugiardi di Pinocchio. L’impatto dell’ala ex Virtus Roma è da cercare in quelle spaziature che ha creato in attacco, aprendo strade che Mayo e Marini hanno battuto con successo, ma anche nel modo in cui ha annullato l’ex compagno Dincic (Alza la testa, benedetto ragazzo! Guarda il ferro!), costringendolo ad errori apparentemente banali. Dinamismo ed energia, utili a sopperire ai precoci problemi di falli di Parks ed alla giornata in chiaroscuro di Lombardi.

Nel male, invece, risalta Musso. Berni…¿por qué? Perché cercare la bagarre quando le tue qualità balistiche sono quelle che tutti conosciamo ed apprezziamo? Perché farti vedere per un piede messo sotto Mayo o per un fallo antisportivo così stupido che ha regalato l’inerzia agli avversari? Una partita ai limiti del masochismo, la sua, con un inspiegabile impegno a nascondere i suoi pregi di realizzatore di striscia, quando la sua grinta potrebbe fruttare davvero fatturati importanti per coach Finelli. Non è stato, non può essere stato, il vero Musso. Il vero Musso non ha bisogno di “dirty tricks”, torna presto a giocare come sai.

L’ARBITRAGGIO

Parliamoci chiaro, il basket è uno sport di contatto e ieri si è giocato un derby. Ma i tre fischietti ci hanno capito davvero poco, spesso entrando in collisione tra loro. Diverso metro sull’eccessivo disturbo di Musso e Cucci, perché antisportivo ad uno mentre l’altro viene liquidato con un pacioso “Valerio, e dai!”? Perché quel fischio astruso su Lombardi? O è canestro valido o è fallo in attacco, non si può pensare di dare semplice fallo come contentino perché incapaci di mettersi d’accordo. Perché non porre subito un freno ai colpi proibiti visti sotto i canestri? I Derby sono partite sentite oltre il limite, il compito dei tre arbitri è anche quello di non far trascendere quest’emotività; ieri sera hanno fallito e solo la qualità delle due squadre ha permesso di godersi una bella partita. Difendiamo il gioco, un gioco fatto di agonismo e non di sregolati far west.

IT’S OVER

Da Vince Carter a Diego Monaldi. È finita. Parlavamo degli intangibles di Sandri, ma che dire della partita del capitano? Apparso in tono minore, ha ceduto il timone a Josh Mayo prima delle più rosee previsioni di coach Sacripanti, ma nel momento clou la retina la perfora lui. Un po’ Vince, un po’ Chessa, si mostra sostegno importante nella fase in cui il tecnico azzurro opta per il doppio play, facendo cose semplici che rendono fluido l’attacco. E poi firma la sentenza passata in giudicato: it’s over.

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