Tra variazione del gusto, ricerca di una bevanda meno “impegnativa” e crescita esponenziale della produzione, sia in quantità che in qualità e profondità di scelta, la birra fa sempre più strada nei frigo e sulle tavole degli italiani. Secondo l’analisi che Coldiretti ha preparato per la fiera del settore di Rimini, gli acquisti di birra in Italia hanno raggiunto il livello record di un miliardo di euro nel 2018, con un consumo pro capite medio di 32 litri, il più alto di sempre. Lo studio rimarca come a fare segnare il record siano anche le esportazioni che sfiorano il valore di 200 milioni di euro con un aumento di ben l’11% nell’ultimo anno, in una situazione di commercio con l’estero stagnante per tutto il Made in Italy. Secondo l’associazione degli agricoltori, sono i birrifici artigianali il motore della crescita: in Italia sono più che quadruplicati negli ultimi dieci anni con un aumento del 330%, passando da poco più di 200 a oltre 860, con una produzione annuale stimata in 55 milioni di litri. Un fenomeno favorito dall’ultima manovra dove è stata approvata una norma che prevede per i birrai artigianali una riduzione delle accise del 40% per chi produce fino a 10mila ettolitri/anno. “La nascita di nuove attività propone una forte diversificazione dell’offerta per un consumo che – spiega Coldiretti – è diventato negli anni sempre più raffinato e consapevole”.
Il report di Coldiretti sottolinea anche la buona performance dell’export della birra
L’associazione ricorda i “numerosi esempi di innovazione, dalla birra aromatizzata alla canapa a quella pugliese al carciofo di colore giallo paglierino ma c’è anche quella alle visciole, al radicchio rosso tardivo Igp o al riso fino alla prima agri-birra terremotata a 1600 metri sulle montagne tra Amatrice e Leonessa che nasce utilizzando lo scarto del pane e che cambia e modifica sapore, colore e consistenza a seconda del tipo di pane che l’azienda riesce a raccogliere dai residui di vendita”. Altro risvolto interessante, sottolineano dall’associazione, è quello occupazionale: molte volte le imprese sono avviate da under 35 e la filiera parte sì dalla produzione ma arriva a forme distributive innovative come i “brewpub” o i mercati degli agricoltori di Campagna Amica, per passare dalle figure professionali come i “sommellier della birra”. L’attenzione per il comparto è alta a livello mondiale. Soltanto pochi giorni fa erano stati gli analisti di Ubs a redigere un report su un fenomeno interessante interno al mondo della birra. Cambiando gli stili di consumo, infatti, si aprono praterie per i produttori di birra a bassa gradazione o addirittura senza alcol. Un po’ come accade per le bevande zuccherate, “vittime” della campagne per la salute e delle scelte legislative di penalizzarne l’abuso, a pagare il conto potrebbero essere le bionde tradizionali e i soft drink in genere. Ragionando sui boccali, dalla banca svizzera hanno notato come, tra il 2012 e il 2017, le birre alcohol-free siano cresciute nel mondo del 3,9% contro un andamento generalizzato piatto.
In alcuni Paesi, come la Spagna, il balzo è stato del 12%. La loro quota di mercato è comunque ancora contenuta, sotto il 5%. L’interesse è anche finanziario: sfuggendo alle accise, il comparto offre margini più interessanti. E i fondi che operano in chiave Esg (secondo i principi di sostenibilità), guardano con diffidenza l’alcol per questioni religiose e preoccupazioni legate alle dipendenze.