Cultura, questa sconosciuta

Il patrimonio artistico del Belpaese è tra i più ricchi al mondo eppure nella terra di Dante di “humanae litterae” non si campa

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Non me ne vogliano genitori e ragazzi “no dad”: la loro battaglia per la scuola in presenza merita senz’altro il massimo del plauso (e della considerazione). Tuttavia una domanda (più di una, per la verità), in casi del genere, diventa obbligatoria ed anzi, a ben vedere, forse valorizza ancor più gli sforzi fin qui profusi, per un ritorno alla cosiddetta “normalità”.
Perché in classe sì e al cinema e al teatro no?
Perché è possibile tenere decine di ragazzi chiusi in un’aula scolastica, anche fino a quattro ore al giorno, e si impedisce ad una sala teatrale, di contenere un numero contingentato di spettatori, con mascherine e distanziamento sociale, per assistere ad uno spettacolo?

Insisto e vado oltre.
Perché una partita di calcio può essere disputata e non si possono visitare, con ingressi limitati e scaglionati, mettiamo, gli Scavi di Pompei?
Perché posso partecipare alla Santa Messa (e lo dico da Cristiano Cattolico, sia beninteso!) rispettando i rigidi protocolli di sicurezza (uno/due seduti per banco ed a debita distanza), e non posso entrare in un Museo?
Perché posso andare al supermarket e non sul…Monte Grappa per godermi un tour lungo i percorsi della Grande Guerra?
Fuor di metafora e detto a scanso di equivoci: sembra quasi che in Italia la pandemia stia facendo un po’ a chi “figli e chi figliastri”, per la serie: a te si, a te no. E la Cultura, scritta con la “C” maiuscola, che pure dovrebbe essere il motore trainante del cosiddetto “Belpaese”, in questo gioco crudele, si è ritrovata catalogata nella categoria degli “sfessati”, di quelli, cioè, di cui si può fare a meno, perché sì, poi, in fondo, a chi volete che interessi di arte, cinema, storia e teatro nello Stivale?!? Musei chiusi, teatri chiusi, cinema chiusi. Da un anno!! Suvvia, son pur sempre categorie di nicchia, interesseranno al massimo quattro gatti snob e pure con la puzza sotto al naso!! Per ammirare un Caravaggio o i reperti dell’Egizio ci sarà pur tempo, non trovate? Sono ben altre le priorità a cui badare in questi momenti di forte difficoltà socio-sanitaria! Ti pare che uno, con la pandemia, trovi pure il tempo per mettersi ad ascoltare l’orchestra che suona la nona sinfonia di Beethoven?

E no! Scusatemi, ma questa cosa proprio non ha senso. È il discorso in generale che da sempre si fa sul tema e sul valore della “Cultura” in Italia, che francamente dà sui nervi. Sì, perché, vedete, questo non è “solo” un problema legato all’emergenza Covid. Qui non si tratta di stilare una scaletta di ciò che è lecito fare e ciò che, invece, non si può fare tra zone rosse, arancioni e misure restrittive varie.

Nossignore. Il problema è atavico ed è legato al rapporto che da sempre noi Italiani abbiamo con tutto ciò che fa “Cultura”. Un rapporto che è poi lo stesso che si ha con quei beni che gli economisti hanno etichettato come voluttuari, vale a dire quelli che soddisfano bisogni secondari e dunque di cui si può anche tranquillamente fare a meno.
D’accordo: nessuno pretende che la presentazione di un buon libro debba precedere la riapertura di negozi ed attività commerciali come bar e ristoranti, ci mancherebbe! Ma è il modo in cui nella terra di Dante si considera la Cultura (e chi magari di Cultura vive) che proprio non va. Ed è un paradosso perché, badate bene, lo diciamo in un contesto, quello “tricolore”, che soprattutto al Sud, di Cultura (e del correlato turismo) dovrebbe campare a prescindere!
Non siete d’accordo? Fermatevi e riflettete. Basta un attimo.

Provate ad immaginare quale Nazione sulla faccia della Terra, può vantare l’enorme concentrazione di ricchezze artistiche di cui è dotata la nostra Penisola. Parliamo di quadri, sculture, affreschi, ma anche beni architettonici, intere cittadine e quartieri considerati, essi stessi, patrimonio da tutelare (l’Italia è pur sempre il Paese con il maggior numero di siti Unesco al mondo); e ancora: parchi archeologici, manoscritti, incunaboli. Provate a pronunciare il nome della Nazione capace di esibire, tutti quanti assieme, il fascino delle calli di Venezia, la melodia sospesa di SpaccaNapoli, l’antica bellezza di Roma, quella rinascimentale di Firenze, l’incantesimo di Siena, la magia dei Sassi di Matera. Quale altro Stato, tra i cinque Continenti, può vantare un menù così ricco, abbondante e sostanzioso? Quale Paese può vantare l’unicità dei nostri borghi, lo sfarzo dei numerosissimi castelli d’Italia, la testimonianza offerta dalle tante cittadelle archeologiche greco-romane disseminate in lungo e in largo lungo la Penisola, i rari scrigni d’arte custoditi nelle centinaia di chiese, monasteri, pinacoteche e poli museali diffusi un po’ ovunque, in casa nostra? E, credetemi, si potrebbe procedere all’infinito nell’elencare tali e tante perle, perché veramente il Belpaese ne abbonda. E poi, tenere fuori dal novero delle città “elette” realtà come Bologna, Verona, Milano, Salerno, Palermo, Catania, Pisa, Perugia, Assisi, Trieste, Genova, o località come le coste di Amalfi e Sorrento, potrebbe anche risultare offensivo, per non dire imbarazzante, talmente sontuose e preziose sono le bellezze storico-artistiche di cui anche queste località sono dotate!!

Insomma, per farla breve: non c’è un Comune, entro i confini dello Stivale, che non abbia un reperto raro o un tesoro da mettere in bella mostra, dalle mura ciclopiche di Alatri ai bronzi Di Riace, dalla Villa di Oplonti (a Torre Annunziata) alle navi del lago di Nemi, dal borgo di “Bari Vecchia” al barocco di Catania, dal Casteddu di Cagliari alle torri di San Gimignano. E ripeto: occorre fermarsi qui perché veramente ci sarebbe di che scrivere una caterva di libri solo per poter citare, con una certa accuratezza, l’elenco dei tesori che rendono luccicante e straordinaria la nostra Penisola. Un Paese speciale, il nostro, in cui i laureati in discipline umanistiche (non solo loro ovviamente) dovrebbero lavorare a prescindere e quasi per…diritto divino!!

E invece no. Ahinoi, l’Italia resta un Paese in cui di “Cultura” non si vive, nonostante l’Arena, nonostante il Colosseo, nonostante la Zisa, nonostante i templi di Agrigento e Paestum, nonostante i resti archeologici di Stabia ed Ercolano, nonostante i capolavori di Michelangelo, Raffaello, Giorgione, Tintoretto; nonostante Scarpetta, Totò, De Filippo, Fo, Albertazzi e Troisi; nonostante Antonio Vivaldi, Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Severino Gazzelloni e Pino Daniele; nonostante Virgilio, Dante, Petrarca, D’Annunzio, Svevo. Nonostante questo e tanto, tanto e, ribadisco, tant’altro ancora di cui poter menare vanto in eterno di fronte al mondo intero.
“Se l’Italia fosse stato il 51esimo Stato degli Usa – mi fu detto una volta – con quel po’ po’ di roba che ci ritroviamo, probabilmente saremmo più ricchi anche della California”. E ci credo! Gli Americani, “Venezia”, se la sono un attimino ricostruita a Las Vegas mentre a Seul, capitale della Corea del Sud, all’interno di una delle stazioni della metropolitana, hanno addirittura realizzato una fedele riproduzione della Fontana di Trevi, a conferma di quanto il “made in Italy” piaccia a seduca oltre confine. E da noi? Manco a parlarne. In casa nostra viene addirittura “sconsigliato” ai neo diplomati di iscriversi a Lettere perché tanto, dopo la Laurea, che vai a fare? Lo storico? Il critico d’arte? L’umanista? Ma dai! Al massimo, se ti va bene, potrai ambire ad una cattedra!! Non c’è lavoro!! Poesia? Studio della Storia? Musica? Arte? Fossimo pazzi? Al massimo puoi coltivarli come hobby, una specie di passatempo per gente con la tasca piena. Quante volte lo abbiamo sentito dire?

Eresia! Eresia pura in una Nazione, la nostra – andrebbe urlato fino alla noia – che alla Cultura dedica solo briciole di attenzione (e ben pochi finanziamenti!) e che invece proprio di Storia, Arte e Teatro dovrebbe poter vivere – torniamo a sottolinearlo – per “diritto divino” talmente numerose (e concentrate) sono le ricchezze e le perle di cui l’Onnipotente ci ha fatti dono. Ma d’altronde il nostro resta pur sempre il Paese in cui, finalmente, il governo ha cancellato la censura cinematografica, salutando questo traguardo come un enorme conquista per il mondo del cinema. Vero, giusto e sacrosanto. Ma nessuno si è mai chiesto come mai abbiamo impiegato più di mezzo secolo per tagliare questo notevolissimo traguardo? Ah, già. È Cultura. Che fretta c’era?

 


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