Sì, lo so. Qualcuno, forse, arriccerà il naso leggendomi. Peccato! Ma non la si può pensare allo stesso modo con tutti. Occorre farsene una ragione. Ora, lungi da me schierarmi nella querelle politica innescata dal rapper Fedez a proposito della presunta censura subita dalla Rai (oibò, solo oggi il Parlamento scopre, indignandosi, che le nomine ai vertici dell’azienda di viale Mazzini sono lottizzate!! Ma che tempismo!!) e poi del suo attacco sferrato contro la Lega per la vicenda del Ddl Zan (a proposito: le offese omofobe pronunciate da taluni esponenti del Carroccio, di cui ha parlato l’artista lombardo dal palco del concertone del Primo Maggio, meritano la più ferma e severa delle condanne). Posso però dire che…non sono d’accordo? Non con il musicista, intendiamoci, ma proprio con l’idea che per impedire di insultare il prossimo, occorra inasprire ulteriormente le pene oppure “tipizzare” nuovi reati, come si propone di fare, in qualche modo, il disegno di legge proposto dal deputato del Pd.
Una norma, quella di cui stiamo parlando, con la quale si prevedono aggravanti specifiche per i crimini d’odio e le discriminazioni contro omosessuali, transessuali, donne e disabili. In poche parole: se offendo un uomo o una donna per il suo orientamento sessuale, finisco dietro le sbarre oppure mi becco chissà quale salatissima ammenda. Bene. Premesso che in Italia è già reato discriminare il prossimo e che il principale strumento legislativo che il nostro ordinamento prevede per reprimere i crimini d’odio e l’incitamento stesso all’odio, è la legge Mancino del 1993: che senso ha varare un nuovo dispositivo per punire severamente chi commette atti di discriminazione fondati sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità? Non sarebbe stato più semplice e opportuno rispettare e soprattutto fare applicare le già severe norme vigenti nel nostro Paese, magari apportandovi gli opportuni correttivi laddove se ne fosse ravvisata la necessità (e il bisogno)? E soprattutto, consentitemelo: chi è che decide che offendere una persona perché lesbica o gay sia più grave che, per esempio, dare della “grassona” ad una giovane che soffre di anoressia o del “cornuto” al nostro vicino di casa appena lasciato dalla moglie?
D’accordo. Fatti ed episodi vanno sempre circostanziati e contestualizzati. Non si può fare di tutta l’erba un fascio. Però, pensateci: come ed in che modo si misura l’entità dell’offesa? In base al destinatario o alla portata dell’aggressione verbale? E scusatemi se insisto: ma perché, poi, questa “pretesa” di dover condizionare, a tutti i costi, i comportamenti degli esseri umani utilizzando il codice penale come se fosse un “manganello”? Perché questa assurda convinzione che basta inasprire le pene per rivoluzionare, in bene, la catena dei valori, cambiando le opinioni e l’agire “scorretto” dei cittadini? È così che si educa chi sbaglia? Con la prospettiva della carcerazione? Tanto varrebbe allora, secondo questo concetto, aumentare le condanne per chi si macchia di reati gravissimi come l’omicidio, eliminando l’ergastolo ed introducendo…la pena di morte! Se tanto mi dà tanto ed il concetto resta valido, allora avremmo risolto il problema alla radice, non trovate? Uno accentua la pena, la rende più severa e il gioco è fatto.
Eh no! Peccato che non sia così. Peccato che nei paesi in cui vige la pena capitale, i reati, anche quelli più gravi, non siano affatto ridotti come uno potrebbe pensare.
Sgomberiamo subito il campo dagli equivoci.
Torno a ribadirlo: le circostanze denunciate da Fedez sul palco del concertone a proposito delle offese omofobe che sarebbero state pronunciate da alcuni esponenti politici, meritano la condanna più ferma, severa e decisa. Senza se e senza ma. È assurdo, inconcepibile, ingiustificabile sentir dire che gli omosessuali devono essere messi al rogo. Chi ha detto quelle cose è un incivile: non solo dovrebbe vergognarsi, ma anche fare ammenda e chiedere scusa in pubblico. E sì, subìre una severa condanna per il danno d’odio procurato, facendosi visitare, già che si trova, pure da un bravo psichiatra! Ma la punizione dovrebbe arrivare a prescindere, perché denigrare, odiare oppure offendere pesantemente chi è diverso da noi, è sempre sbagliato ed esecrabile e non occorre certo una nuova legge per venire a ricordarcelo o, consentitemelo, ad ingarbugliare il già intricatissimo corpus giuridico nostrano dove norme, cavilli e regolamenti sovente si accavallano e coesistono talvolta uguali, talvolta ridondanti o addirittura in contrasto l’uno con l’altro.
È inutile girarci attorno. Alcuni punti del disegno di legge Zan lasciano perplessi e rischiano di mettere in seria difficoltà non solo il cittadino, ma anche il giudice che poi sarà chiamato ad applicarli. Non è un caso, d’altronde, che anche da alcuni rappresentanti della comunità LGBT siano giunte forti critiche al testo (Platinette, ad esempio, ha parlato di legge “arrogante e liberticida”).
Prendete il passaggio dove si dice che sarà punito anche chiunque partecipi o presti assistenza ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza. Che significa? Che se esistono, mettiamo, comunità, sette o gruppi religiosi che predicano il passo del Levitico tratto dall’Antico Testamento, in cui si prevede la morte e l’ira divina per i sodomiti, oppure la Lettera di San Paolo ai Romani (Nuovo Testamento), in cui si condannano i “rapporti contro natura”, si prendono sacerdote e fedeli e li si denuncia tutti quanti alla procura della Repubblica per istigazione all’odio di genere? E che dire di quell’altro passaggio dello stesso Ddl dove il legislatore si affretta a spiegare che “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
Sì, avete letto bene: “fatte salve”, è scritto proprio così. Quasi fosse una “concessione” la libertà di pensiero e non un diritto garantito dalla Costituzione. Bene: e chi mi garantisce che questa “concessione” mi sarà riconosciuta come tale dalla persona offesa nel bel mezzo di una vivace discussione? Che ne so se una mia frase, magari pronunciata a sproposito, in un momento di acceso confronto, non avrà danneggiato la sensibilità di chi ascolta, facendolo sentire discriminato? Chi è, in soldoni, che decide che il mio “dire” è veramente frutto d’odio e non solo semplice manifestazione di un modo di pensarla differente? Ecco: il rischio è di impelagarci in un guado indistinto, tra ciò che realmente può essere una colpa da punire e ciò che, invece, è solo pluralismo delle idee, per quanto questo possa apparire discutibile. Una “via di mezzo”, insomma, il temuto “reato di opinione” da cui molto difficilmente potremmo tirarci fuori.
Mi ha colpito, non ho alcuna difficoltà a dirlo, il monologo di Pio e Amedeo che, dal palcoscenico di “Felicissima Sera”, nei giorni scorsi, più che sulla gravità e sul peso di certe affermazioni, più che sui divieti linguistici, invitavano a “riflettere” su quello che si nasconde realmente dietro frasi, gesti e parole. I due comici pugliesi hanno, sostanzialmente, aperto – pur non volendolo – un nuovo fronte del dibattito, spostando l’attenzione sul “politicamente corretto” e su quella enorme mole di stereotipi di cui sovente finiamo per rimanere vittime. Bando alle ciance: sono convinto che, per porre fine a secoli di becera inciviltà ed “arretratezza”, bisogna puntare forte sull’educazione e non solo sulla repressione (che pure ci vuole, per carità!). Servono modelli, esempi, riferimenti forti, più promozione culturale. Bisogna operare per demolire ignoranza e pregiudizi, a partire dalle scuole e dalle famiglie, che sono la prima trincea di questa lotta. Non si può puntare solamente sul “questo non si può fare, questo è vietato”. Il puro e semplice “no” senza opportune e mirate terapie, senza le dovute “spiegazioni”, alla fine, lascia sempre il tempo che trova e, il più delle volte, rischia di provocare i risultati opposti, creando, paradossalmente, categorie “isolate”, nei cui confronti ciò che altrove viene punito con un’ammenda subisce, invece, la più severa delle stangate.
Perché offesa e denigrazione, odio e disprezzo, minaccia e violenza, sono sempre tali, a prescindere da chi li subisce. Perché siamo tutti esseri umani con eguali diritti e doveri, non etero o omosessuali. Il “genere” non può né deve generare differenza. Occorre allora spiegare ai più giovani, quelli che saranno i grandi di domani, cosa significa “normalità”. Quella stessa normalità che tutti quanti noi siamo chiamati a costruire. Insieme. Senza cesoie e ulteriori, inutili cavilli. La “normalità” si apprende con la cultura, il dialogo, il confronto, non solamente a colpi di codice penale in testa.