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Ecco il rimedio contro “l’ora più buia”, come rispondere al “whatsapp” della paura in 4 passaggi

Emergenza Covid 19, come rispondere al “whatsapp” che la paura ci invia tutti i giorni 

Darkest Hour, stiamo vivendo “l’ora più buia”, come il titolo del film del 2017 diretto da Joe Wright, nel segno della paura. Prendo come spunto solo il titolo, ma il fattore comune è come vivere un momento drammatico e quali strategie dobbiamo utilizzare per addomesticarla? Il problema che ci affligge in queste settimane di Pandemia da Coronavirus è proprio la paura in tutte le sue forme. Quella per il presente e per il futuro. È un’emozione che dilaga a vista d’occhio, contagia in modo invisibile proprio come il virus. Entriamo in contatto con la paura e vediamo cosa ci sta dicendo. 

 

“L’amore è un potere attivo dell’uomo; un potere che annulla le pareti che lo separano dai suoi simili, che gli fa superare il senso d’isolamento e di separazione, e tuttavia gli permette di essere sé stesso e di conservare la propria integrità. Sembra un paradosso, ma nell’amore due esseri diventano uno, e tuttavia restano due”. (Erich Fromm)

 

Ecco alcuni passi da seguire

  • Punto 1. Facciamo così, pensiamo che la “paura” ci mandi un messaggio su whatsapp, così, all’improvviso. Cosa facciamo? Lo apriamo? Sì, facciamo sapere alla nostra “amica paura” che l’abbiamo letto. Le due spunte diventano blu. Per quanta “paura” possiamo provare, non potremmo mai scappare da noi stessi. Coraggio, abbiamo aperto il messaggio. Vediamo un po’ cosa vuole dirci.  Lei è parte di noi, lasciamole un po’ di spazio e sarà meno probabile che esploda trasformandosi in qualcosa di ancora più intenso e difficilmente gestibile come, ad esempio, il panico. Iniziamo a parlarne come se fosse un amico o amica, un familiare o un nostro caro. Se la  neghiamo blocchiamo anche la possibilità di trasformarla in qualcosa di utile per noi e per gli altri. 
  • Punto 2. Ora leggiamo il testo del messaggio. Non fermiamoci all’anteprima, la paura è un’emozione primaria generalmente provocata da una situazione di pericolo, reale o immaginario. Andiamo oltre la sensazione iniziale di spavento. Possiamo accorgerci di come la paura ci informa del fatto che siamo capaci di provare un legame di attaccamento, un sentimento di affetto e amore verso persone, in generale verso la vita e non vogliamo perdere quello a cui teniamo.
  • Punto 3. Aspettiamo un po’, proprio come quando facciamo, e lo facciamo spesso, prima di rispondere al nostro compagno/a, amico/a e così via. Prendiamoci del tempo e ragioniamo. La paura, soprattutto quando è intensa, porta ci induce a reagire in modo impulsivo. La paura è una parte importante di noi che convive con molte altre, come il coraggio, la fiducia, la speranza. Dai a tutti i messaggi il tempo di arrivare. Intanto cerchiamo qualche elemento di  distrazione. Sforziamoci. Ognuno di noi troverà il proprio. Ascoltare musica, disegnare, cucinare (stiamo ingrassando troppo!!!).Poi torniamo sul nostro whatsapp. Ci riconnettiamo. Scopriamo che la paura è rimasta in attesa, ma non è più l’unica a dominare la scena del nostro mondo interiore.
  • Punto 4. Ora pensiamo al “condividi”. Quante condivisioni facciamo sui social ogni giorno. E facciamolo pure ora. Parliamo con qualcuno e spieghiamo quello che proviamo e che pensiamo. La paura è un sentimento universale, condividendolo possiamo scoprire che molti provano il nostro stesso vissuto e, così, ci sentiamo meno soli. Se non possiamo parlarne con le persone che abbiamo accanto, mandiamo un whatsapp a chi ci fidiamo e chi sa ascolatrci. Un telefonata allunga la vita. Beh, cosa ci dice il tempo che stiamo vivendo. Quando si ha a che fare con qualcosa che è minaccioso e che non si conosce, scattano in noi una serie di meccanismi che producono reazioni comportamentali molto simili a quelle che si possono osservare negli animali: attacco o fuga. Questo deve farci riflettere. Il fatto che l’unica altra reazione mediata dagli stessi circuiti cerebrali profondi (talamo e amigdala) che provocano l’attacco o la fuga è il cosiddetto “freezing”, letteralmente “congelamento”, rischiamo di immobilizzarci. Eppure, la strategia di difesa che si sostanzia in una sorta di congelamento, di non-azione, addirittura di blocco fisiologico di talune funzioni vitali in determinati animali, è quella che possiamo mettere in atto per contribuire alla non-diffusione del virus, pertanto è una strategia funzionale e che consente la sopravvivenza della specie, proprio come per gli animali. L’ignoto spaventa. Tuttavia, questo virus così implacabile non risulta essere del tutto sconosciuto: la scienza sta progredendo molto rapidamente verso scoperte quotidiane di ulteriori dettagli sulla sua biologia, quindi si sarebbe più propensi a sostenere un altro paragone. Il Coronavirus non è come la paura del buio in assoluto: è come la paura del buio che ci assale nel momento in cui ci troviamo immersi nell’oscurità, ma in un ambiente noto. Abbiamo qualche riferimento, seppur molto pochi e, qualora annebbiati dalla paura, difficilmente raggiungibili dalla coscienza e utilizzabili dai nostri processi cognitivi. Così, che si tratti di paura, di angoscia, di terrore o di panico, in tutti questi casi vi è un tratto di fondo comune: la preoccupazione. Allora indaghiamo anche sulla nostra preoccupazione, su quello che sentiamo. Per sconfiggere anche il virus della paura. E ce la faremo. 
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