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Elena Canino e la modernità di “Napoli Guerra e Pace”

Elena Canino getta uno sguardo tutto al femminile sulla Seconda Guerra Mondiale

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Grazie alla Stamperia del Valentino, una piccola casa editrice napoletana, questa pregevole raccolta di articoli -scritti per diverse testate nel periodo che va tra gli anni Quaranta e Cinquanta- torna in libreria a raccontarci di una Napoli lontana dai fasti delle fictions televisive e vista con gli occhi di Elena Canino.

Bella figura quella della Canino, nel novero delle giornaliste scrittrici scoperte da Leo Longanesi; l’incontro tra i due si svolse grazie al favore di Giovanni Ansaldo, alla cui famiglia la giovane Elena si legò durante gli  anni trascorsi a Genova. Comincia così la sua carriera di giornalista che la porterà a collaborare lungamente a Il Borghese, mentre Leo Longanesi pubblicherà anche il suo primo e unico romanzo dal titolo “Clotilde tra due guerre”, un romanzo di formazione attraverso il quale la Canino seppe ritrarre con mano ferma ma garbata gli uomini e le donne più in vista di quel periodo.

La sua è una scrittura chiara, senza infingimenti e pervasa da una sottile ironia persino quando, come in “Napoli guerra e pace. Spigolature di vita napoletana” la Canino getta uno sguardo femminile sul secondo conflitto mondiale. Se in “Napoli Borghese” si avverte la tensione della giovane che smette di vivere Napoli come sede dei suoi studi universitari e comincia a viverla incarnando un ruolo diverso (quello della moglie dell’architetto Marcello Canino), in “Napoli Guerra e Pace” gli articoli, datati tra il 1941 e il 1956, danno vita ad una narrazione più aspra. Lo sguardo di Elena è cambiato, non solo Napoli ma il mondo intero si trova stretto nella morsa bellica e i personaggi che attirano la sua attenzione sono spesso i soldati tedeschi che segnano il passo con scarpe chiodate, quelli  americani che sembrano ormai diventati parte integrante delle domeniche di festa dei napoletani, con la loro cioccolata e le sigarette regalate agli angoli delle strade di una città il cui centro viveva di miseria e di sfacelo ancora evidenti. Oppure i soldati britannici, che requisiranno la sua amata casa, quella Villa Salve al Vomero vecchio, non lontana da piazzetta Santo Stefano e dalla sua chiesetta, che rappresentava il centro nevralgico di un piccolo villaggio che, pur appartenendo geograficamente al territorio napoletano, le permetteva di restarne sufficientemente distaccata. Allora era Napoli che saliva fino a Villa Salve, attraverso lo strillone che portava le copie del giornale su cui la Canino aveva pubblicato il suo ultimo pezzo, certo che avrebbe venduto almeno quindici copie. Oppure attraverso il vociare dell’ortolano con il suo carretto, oppure attraverso le sapienti mani della sarta ormai in difficoltà con la vecchia clientela, cui Elena fa pubblicità presso le mogli degli ufficiali stranieri.

E’ a Villa Salve che Elena diventa, molti anni dopo Matilde Serao, ‘a signora ‘e coppa: un modo di dire che è il riconoscimento di uno status dettato non solo dall’altura in cui aveva posto dimora con la famiglia.  Il prezzo del pane o l’impossibilità di andare dal parrucchiere diventano allora  motivo e spunto di una riflessione più ampia di una donna borghese, che ha amato la città senza diventare parte di essa, che ha vissuto la guerra da sfollata e ha incontrato la solidarietà ma anche il cinismo sul volto di quelli che, come lei, hanno lasciato la città sotto i bombardamenti per riparare a Sorrento o a Roma. In  Napoli guerra e pace  ci sono dei pezzi dolorosamente attuali, di una contemporaneità che schiaccia il lettore perché, prosa lessico e stile a parte, sembrano raccontare e commentare una notizia dell’altro ieri e non del secolo scorso.

In buona sostanza la Canino  sembra collocarsi a buon titolo tra la generazione della Serao, con il suo inventario sociale di donne e ragazze, e quella di Anna Maria Ortese, che parlando di Napoli sempre ne sottolineò la mancanza di grazia. Elena  si adattò con amore a Napoli e la raccontò attraverso ciò che conosceva meglio: non come chi fa cronaca, ma come chi vive il suo quotidiano in una città difficile, in un periodo controverso dove l’adattabilità era necessaria alla sopravvivenza (la guerra, lo sfollamento, la requisizione della villa amata e la convivenza con i soldati inglesi) adottando, spesso,  una  muta opposizione ad una realtà che non poteva cambiare ma che si poteva plasmare in minima parte a seconda delle esigenze dettate dal giornaliero imprevisto continuo. Occhio arguto il suo e sguardo talvolta indulgente e pietoso su una Storia narrata attraverso le piccole vicende di personaggi sconosciuti.


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