La strategia del leader turco Erdogan per alzare la posta in gioco con gli europei
La riapertura della rotta migratoria che dalla Turchia porta all’Europa – via terra e via mare – si conferma l’arma di ricatto più efficace nelle mani del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, alle prese con l’inasprimento del conflitto a Idlib, nel nord-ovest della Siria, dove le truppe turche si confrontano direttamente con le forze del presidente siriano Bashar al-Assad, sostenuto dai russi. E mentre l’escalation militare sta provocando un nuovo esodo dalla Siria, il governo di Ankara prosegue nella linea adottata venerdì: spalancando le sue frontiere verso l’Ue, con il duplice obiettivo di forzare gli europei a rimettere mano al portafogli e schierarsi al suo fianco nella guerra di Idlib.
“Da quando abbiamo aperto i nostri confini, il numero di migranti diretti in Europa è di centinaia di migliaia. Presto sarà nell’ordine di milioni”, ha detto Erdogan in un discorso ai membri del suo partito ad Ankara. “Il periodo dei sacrifici unilaterali in favore dei rifugiati è finito. Conduciamo una battaglia il cui obiettivo è di regolare la crisi umanitaria innescata dallo spostamento di milioni di siriani verso il nostro Paese e di garantire la sicurezza del nostro territorio”, ha aggiunto il leader di Ankara, ribadendo la volontà di non “chiudere le porte” della Turchia verso l’Ue.
“Ci dispiace essere giunti a questo punto” in Siria, ma “i responsabili di questa situazione sono coloro che si sono sentiti in grado di minacciarci grazie al sostegno di forze esterne”, ha poi sostenuto Erdogan, riferendosi alle operazioni militari turche in corso a Idlib contro le forze di Assad, appoggiate da Mosca. Giovedì il presidente turco incontrerà Vladmir Putin in Russia. “Mi auguro una tregua rapida e di risolvere questa questione”, ha detto Erdogan. Ma la strada è tutta in salita: né Damasco né Mosca sembrano disposte a concedere granché al Sultano di Ankara, che non può tollerare l’avanzata lealista laddove, secondo gli accordi ormai naufragati di Sochi, ci sarebbe dovuta essere una zona demilitarizzata. E così, frustrato per la situazione in Siria, il leader turco esercita il suo potere su un’Europa che ha pensato di poter chiudere gli occhi sulle crisi mediorientali versando nelle casse di Ankara qualche miliardo d’euro (finora 6, presto altri 3).
“L’Ue credeva che fosse un bluff, ma quando abbiamo aperto le porte sono cominciate ad arrivare le telefonate…”, ha commentato il presidente turco a proposito delle reazioni europee alla sua strategia. Una strategia che fa leva deliberatamente sulla debolezza dell’Europa, che ora trema di fronte alle immagini che arrivano dalla Grecia, dove decine di migliaia di persone premono per entrare (la guerra, anche qui, si fa con i numeri: Ankara parla di oltre 120mila persone già arrivate in Grecia e Bulgaria; l’Oim di 13mila). Atene ha reagito schierando i militari e respingendo i migranti con gas lacrimogeni. In molti hanno preso la via del mare, verso l’isola di Lesbo. Tra questi c’era anche un bambino, morto durante un tentativo di sbarco a Mitilini: il barcone su cui viaggiava – secondo quanto riferisce Cnn Greece – si è ribaltato quando è stato avvicinato da un’unità della Guardia costiera greca.