Il comitato Digital, Culture, Media and Sport giudica Facebook “falso” e in “cattiva fede”
Il comitato Digital, Culture, Media and Sport del Parlamento britannico si scaglia su Facebook: “Falso”, “in cattiva fede”, “opaco”, “gangster digitale”. Così viene definito Facebook nel rapporto con cui si chiude un’indagine durata mesi: 110 pagine frutto di migliaia di domande e dichiarazioni rese da 73 testimoni. Il documento parte dalle indagini su Cambridge Analytica e mette in discussione l’impianto difensivo di Facebook. La fuga di dati non sarebbe stata frutto di “condotte abusive” (delle quali il social sarebbe stato comunque a conoscenza) ma di azioni “intrinseche al modello di business”.
Questo renderebbe “chiaro” il motivo per cui le azioni e le dichiarazioni di Mark Zuckerberg siano arrivate solo “quando le gravi violazioni sono diventate pubbliche”. Una dimostrazione della “malafede” con cui opera Facebook, afferma il rapporto. Il ceo ha sempre ripetuto di non “vendere dati” degli utenti, ma di utilizzarli per indirizzare la pubblicita’ degli inserzionisti. Per il comitato, invece, affermare di “non aver mai venduto dati a nessuno è semplicemente falso”, perchè “il trasferimento di dati in cambio di denaro è il modello di business su cui Facebook si basa”. Alle aziende come Facebook, continua il rapporto, “non dovrebbe essere permesso di comportarsi come gangster digitali del mondo online, considerandosi al di sopra e al di fuori della legge”. E per questo il comitato raccomanda “ulteriori indagini” sulle pratiche del social network per valutare “se stia sfruttando la propria posizione dominante per decidere quale business debba avere successo e quale fallire”. “La democrazia – afferma il Parlamento britannico – è messa a rischio dalla disinformazione diffusa attraverso i social media”.
Davanti a questa minaccia, “le grandi aziende tecnologiche stanno fallendo”. Facebook ha quindi un “enorme potere”, non solo nella gestione dei contenuti ma anche dal punto di vista commerciale. Il più grande social network guadagna “bullizzando le imprese e gli sviluppatori più piccoli, che si affidano a Facebook per raggiungere i loro clienti”. “Le grandi aziende tecnologiche – rileva ancora il comitato – non devono poter crescere in modo esponenziale senza alcun controllo normativo”.
Il potere di Facebook, la gestione dei dati personali e l’impatto delle campagne politiche “legittimano indagini da parte delle autorita’”. Le piattaforme social, inoltre, “non dovrebbe essere in grado di eludere ogni responsabilita’ editoriale per i contenuti condivisi dagli utenti attraverso la piattaforma”. I social media “dovrebbero essere trasparenti”, mentre “la gestione di Facebook è opaca”. Non un inconveniente ma – secondo il comitato – una scelta precisa, mirata a “nascondere” il funzionamento della piattaforma e le “responsabilita’” dei vertici.
L’opacità sarebbe stata confermata anche dal modo in cui Facebook ha affrontato l’indagine britannica: “Ha inviato testimoni definiti come i rappresentanti più appropriati, ma non erano informati su questioni cruciali e non potevano o avevano scelto di non rispondere a molte delle nostre domande”. “Non abbiamo dubbi – si legge nel rapporto – che questa sia stata una strategia deliberata”. La cui responsabilità ricade prima di tutto sul ceo: “Scegliendo di non apparire davanti al comitato e di non rispondere personalmente a nessuno dei nostri inviti”, conclude il documento, “Mark Zuckerberg ha mostrato disprezzo sia nei confronti del Parlamento che dell’intero Regno Unito”