I marchi più colpiti dalla contraffazione sono Louis Vuitton, Chanel e Gucci
Il falso e la contraffazione si annidiano negli account di Instagram, social in voga tra tutte le fasce d’età, vero ansiolitico digitale e antitodo surreale per chi la realtà non ha il coraggio di guardarla a viso aperto. Su Instagram ci sono oltre 56.000 account che ritraggono o vendono merce contraffatta. Pubblicano – in media – 64 milioni di post e 1,6 milioni di Storie al mese. Lo afferma un’indagine della società d’analisi Ghost Data, che sottolinea come il numero di profili sia cresciuto del 171% e quello dei post del 341% rispetto al 2016. Contando solo i follower (cioè senza valutare la viralizzazione dei contenuti), la platea supera i 20 milioni di persone. Un dato racconta forse meglio di altri l’impatto della contraffazione “social”: tracciando gli hashtag che riguardano la moda, uno su sei riporta a merce falsa. Per l’esattezza il 15,5%. La quota è in diminuzione rispetto a tre anni fa, quando era al 20%. “Una possibile spiegazione – afferma il rapporto – è la presenza sempre più massiccia dei marchi originali e i controlli più efficaci messi in campo da Instagram”. I falsari si sono quindi diluiti nella marea crescente di Instagram, ma hanno comunque accompagnato l’espansione del social network. Oltre a essere di più, gli account sono anche molto più attivi. Un terzo di essi ha pubblicato tra i 500 e 1000 post e uno su cinque ha superato questa soglia. I marchi presi di mira più di frequente sono Louis Vuitton, Chanel e Gucci, cui fanno capo rispettivamente il 21%, il 19% e il 14% dei contenuti. Questi tre brand, raccolgono quindi oltre la meta’ di tutti i “post della contraffazione”. Più staccati, dal 5% in giù, Nike, Fendi e Balenciaga. Scandagliando domini, numeri di telefono e indirizzi e-mail, Ghost Data ha cercato di capire (con buona approssimazione) la sede dei falsari di Instagram. La Cina primeggia ancora (da lì opera il 43% degli account). Tuttavia, la quota cinese si è ridotta: era al 55% nel 2016. Vuol dire che i falsari di altri Stati crescono più rapidamente di quelli cinesi. In particolare, l’analisi indica la Russia, passata dal 25 al 30%. Seguono Indonesia (13,4%), Ucraina (4,6%), Turchia (4,4%) e Malesia. La predominanza dell’area asiatica è confermata anche dal metodo di pagamento più frequente usato dai falsari: e’ WeChat Pay in quattro casi su dieci, ma è consistente anche l’utilizzo di Paypal (al 35%). I venditori di merce contraffatta utilizzano quindi metodi di pagamento del tutto leciti, rendendo il più delle volte inutile il ricorso a sistemi meno consueti, come i bitcoin (utilizzati in meno di un caso su cento).
Il danno della contraffazione online è enorme: secondo l’ultimo Global Brand Counterfeiting Report, ai marchi del lusso costa 30,3 miliardi di dollari. Ma, in ambito social, non ci sono solo le vendite mancate: andrebbe valutato anche il danno alla reputazione. Ghost Data sottolinea quindi l’esigenza di maggiori sforzi, anche perchè gli ultimi aggiornamenti di Instagram stanno moltiplicando le funzioni legate all’e-commerce, con la possibilità di acquistare la merce che si vede nei post senza uscire dalla piattaforma. “Un quadro cosi’ complesso – spiega il rapporto – richiede un nuovo modello di collaborazione tra piattaforme, aziende, governi, università. Gli stessi marchi di moda devono essere coinvolti direttamente” e i grandi social network “devono passare da un approccio passivo basato sulla moderazione dei contenuti a una sorveglianza proattiva”.