“It’s coming home, it’s coming home…”, hanno scandito, per giorni, i tifosi inglesi. Chiara l’antifona, riferita al calcio che “sta tornando a casa”. Un auspicio neanche tanto nascosto, quello dei supporter della Nazionale dei “tre leoni”, riferito evidentemente alla coppa del campionato europeo di calcio, che avrebbe dovuto rimanere (“tornare” è scorretto, visto che i britannici non l’hanno mai vinta nel corso della loro storia calcistica) nel Paese in cui, secondo tradizione, il football ha visto la luce. Be’, nulla di tutto questo, cari amici. Per nostra fortuna, sappiamo tutti come è andata a finire: “it’s coming Rome!”. Il calcio, semmai, è…tornato a Roma, Capitale di una Nazione che quella coppa aveva già visto alzare al cielo nel 1968 (oltre, nel frattempo, ai quattro campionati del mondo vinti, contro l’unico trofeo conquistato dagli inglesi).
Il risultato della finale di Wembley è noto: l’Italia ha battuto Sterling e compagni ai rigori e la coppa ha preso la via dello Stivale. Però come non riflettere sul peso di certi slogan – talvolta scanditi, in maniera irriverente e poco rispettosa, anche in faccia ai nostri tifosi – che rischiano di mettere in cattiva luce la “spocchia” di una parte della torcida anglosassone?
Partiamo proprio da quell’home
Dove sta scritto che il football lo abbiano inventato gli inglesi? Dove sta scritto che la casa del pallone si trovi proprio lì, nella terra degli Angli? Al massimo i figli di Albione lo avranno codificato e regolamentato nelle forme più o meno attuali (tante regole, a partire dal fuorigioco, sono state aggiunte e modificate con il passare degli anni). Ma dire che l’arte di tirar pedate ad una sfera cilindrica sia nata lì, in Inghilterra, non è assolutamente esatto. All’opposto, l’origine del gioco del pallone è talmente incerta che chiunque, dagli aborigeni australiani che si divertivano tirando calci ad una palla ricavata, a quanto pare, dallo scroto dei canguri riempito d’erba, alla Cina del terzo e secondo millennio a C., dove si praticava un gioco molto simile a quello attuale (due squadre composte da 12/16 calciatori si affrontavano in un campo di forma rettangolare: vinceva chi centrava più volte, con un pallone rudimentale, lo spazio all’interno di due pali formati da canne di bambù), potrebbe vantare una primogenitura di questo straordinario sport. E che dire del calcio fiorentino giocato sulle sponde dell’Arno fin dal XIII secolo? Una disciplina che, almeno nei fondamentali, sembra ricordare più il rugby (altro sport di cui pure i britannici vantano l’origine!) ma che comunque si giocava con una sfera del tutto simile all’attuale pallone.
Insomma, cari amici: i cosiddetti maestri inglesi non hanno inventato alcunché. Al massimo va tributato loro il merito di aver “organizzato” il “Soccer” per come lo conosciamo noi oggi. Ma dire che la “home” del pallone sia casa loro, nossignore. Proprio non ci sta. E’ un’inesattezza storica comprovata e accettata finanche dalla stessa Fifa che proprio nel “calcio cinese” ha riconosciuto il più antico antenato dell’odierna disciplina sportiva. D’altronde, ma sia detto con un pizzico di sottile ironia (o, se preferite, di chiaro humour britannico), con gli inglesi c’è sempre il rischio di incappare in qualche errorino di tipo storico.
Parliamoci chiaro: sotto sotto, siamo tutti un po’ anglofili. Diciamocelo francamente: fare un discorso ed infilarci dentro, ogni tanto, qualche bella parolina “old british”, ci riempie la bocca, ci dà quasi tono e sostanza. Non è vero? Be’, a saperle prima le cose!! Quanti, parlando di “standing ovation”, sanno che quell’ovation non è affatto un termine inglese, bensì di origine latina, richiamando la celebre ovatio, l’ovazione, il trionfo minore che nell’antica Roma veniva tributato al generale vittorioso? E quanti, parlando dei “mass media”, pronunciati rigorosamente con la “i”, di “midia”, credono che anche questo termine sia di natura anglosassone, quando invece, a sua volta, proprio come accaduto con “ovation”, nasce dal latinissimo “media”, neutro plurale di medium e che come tale andrebbe, dunque, pronunciato? E vogliamo parlare dell’errata corrige, allocuzione latinissima che sta per “correggi le cose sbagliate”, con quel “corrige” pronunciato neanche fosse il “porridge”, la famosa e tradizionale colazione anglosassone? Ma vabbè. Meglio prenderla a ridere! Tanto c’è di peggio!!
Alzi la mano chi non ha mai visto, almeno una volta nella propria vita, la bandiera dell’Inghilterra: la classica croce rossa in campo bianco. Famosissima, non è vero? Quante volte l’avremo vista sventolare durante le manifestazioni sportive o anche durante i concerti delle rock band inglesi! Ebbene, quello che non tutti sanno è che quella celebre ed inglesissima bandiera in realtà è italiana. Per l’esattezza viene da Genova. Sissignori, avete letto bene. La croce rossa in campo bianco era lo storico vessillo di San Giorgio, il Santo Patrono di Genova. Una bandiera che in mare era rispettata e temuta da tutti, finanche dai pirati i quali, quando la vedevano sventolare sugli alberi dei navigli genovesi, per non mettersi contro la potente Repubblica Marinara, preferivano girare al largo. Ebbene, fu proprio per questo che nel 1190 re Riccardo d’Inghilterra chiese ai genovesi il permesso di poterla usare anche per le imbarcazioni della sua flotta. Praticamente fu una richiesta di fitto che i liguri gli concessero in cambio del pagamento di un tributo annuale. Sapete come è andata a finire? Quel canone è stato pagato regolarmente fino al 1771. Poi, dopo quell’anno, di punto in bianco, i britannici hanno smesso di versare il dovuto e tutti si son scordati della bandiera genovese. Che dire? Fa niente! Ci ha pensato, domenica sera, la Nazionale di Mancini, a Wembley, a…”riscattare” un po’ di quel debito. Detto sempre con ironia, s’intende. Altro che it’s coming home!!