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JACOVELLE. DI MAIO E SALVINI COME NEI TEATRINI DELLE MARIONETTE…

Entra nel vivo il tempo delle jacovelle e delle mazzate. Accade come nei teatrini delle marionette nelle serate estive. La politica nazionale è alle repliche e lo spettacolo è da fine stagione. Avviene quando Ominicchi e Quaquaraquà invadono la scena sotto il solleone.

Al centro delle baruffe tra Cinquestelle e Leghisti, lo scontro sulle Autonomie, la Flat tax e il Salario minimo.

Ma se le suonano e se le cantano anche dalle parti del Pd dove zingarettiani, franceschiniani e renziani attraverso i toni alti e aspri della contesa interna cercano di dar prova delle rispettive esistenze.

Lo squallore regna sovrano sulla rappresentazione!

Il primo elemento che balza agli occhi è la riemersione della radice geografica della Lega.

Lo scontro sulle Autonomie regionali ripropone infatti il vero volto della Lega in barba al maquillage tricolore nazional-leghista salviniano.

Non c’è dubbio, la Lega è e resta un Partito del Nord.

Non a caso gli uomini che ne formano la cabina di regia sono tutti settentrionali, dai Governatori Luca Zaia e Attilio Fontana a Nicola Molteni, da Giancarlo Giorgetti fino all’oggi apparentemente defilato Riccardo Maroni.

Quelli del Sud saltati sul Carroccio non hanno alcun peso politico. Sono lì soltanto in cambio di qualche appannaggio. Storia antica, storia di Pezzenti, storie di piccoli Questuanti. I Leghisti del Sud sono come i democristiani meridionali di una vola. Tutta gente in cerca di qualche vantaggio…

Detto ciò, a tenere alti i toni delle jacovelle tra M5s e Lega ci sono anche le rivelazioni sul caso Siri-Arata, il Russiagate, oltre alle già citate divergenze sulle  Autonomie differenziate, sulla Flat tax e sul salario minimo. Il prossimo 25 – secondo gli Astrologi dei Palazzi – sarà il giorno del redde rationem. Staremo a vedere…

Intanto – sempre a proposito di miserie politiche – l’ex Sottosegretario-bancarottiere Armando Siri è stato scoperto col sorcio in bocca.

E’ stato inchiodato da nuove intercettazioni.

A Siri – definito da Matteo Salvini “persona specchiata” all’indomani dell’avviso di garanzia per corruzione – erano stati promessi 30mila euro a titolo di compenso per il servigio prestato attraverso la presentazione di un emendamento pro-eolico bloccato dai Cinquestelle. Due supertestimoni accusano Siri. Sono Vito Nicastri – il re dell’eolico ritenuto vicino al superboss Messina Denaro – e suo figlio Manlio. Le accuse dei Due sono confermate anche da Paolo Arata, altro consulente leghista nei guai con la Giustizia. Le intercettazioni inoltre dicono che Arata – ex Parlamentare forzista – per favorire l’ascesa di Siri (oggi senatore semplice e consulente economico della Lega) si raccomandò anche a Silvio Berlusconi.

Intrecci da vomito!

Da un versante all’altro, le jacovelle condite da monnezza regnano sovrane anche dalle parti del Pd.

Un lampo di lucidità politica illumina per un attimo il buio Nazareno. Lo accende Dario Franceschini. L’ex Ministro apre ad un eventuale accordo col M5s in caso di crisi di Governo e invita il segretario del Pd a riflettere in merito. Ma il bagliore è subito soffocato dalla plebaglia renziana urlante. Non avendo altri ruoli da giocare, Matteo Renzi i Suoi fedelissimi si son ritagliati quelli da inutili idioti disturbatori.

Ma non è tutto.

In materia di imbecillità politica non è da meno Luigi Di Maio, l’ancora incerottato Capo politico Cinquestelle. Di Maio ripete: “Mai, mai col Pd!”. Deliri da ricovero… Roba da Tso (Trattamento Sanitario Obbligatorio, da manicomio per intenderci) soprattutto se si ricorda come Giggino da Pomigliano si sia venduta l’anima – Sua e del Movimento – in occasione del voto Salvasalvini sul caso Diciotti.

Detto ciò – al di là delle sceneggiate – resta tutto da verificare fino a qual punto Matteo Renzi e i Suoi siano disposti a recitare i ruoli di Bastian Contrari nel caso in cui la crisi di Governo si profilasse davvero e le elezioni anticipate avanzassero a passo di carica in seguito a un mancato accordo tra Pd, M5s e resti sparpagliati del Centrosinistra.

E chiaro infatti che Renzi – non potendo più gestire le candidature in prima persona – con un atteggiamento di rottura finirebbe col favorire l’uscita anticipata dal Parlamento di molti suoi fedelissimi. E a maggior ragione la catastrofe renziana sarebbe inevitabile se a settembre la Camera – come da calendario – dovesse dare il via libera definitivo al taglio di 315 Parlamentari (200 Deputati e 115 Senatori). Un prezzo salato – questo – che oltre i renziani pagherebbero anche i Cinquestelle in caduta libera di voti e i Berlusconiani in via di estinzione.

Insomma – al tirar delle somme e detto papale papale – le elezioni anticipate non convengono a nessuno. Ed è una valida ragione – questa – per cercare di continuare a tirare a campare pur se tra voli di stracci, insulti, sussurri, grida e qualche malaparola ben assestata…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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