Il giornalista Ahmad Ejaz: “Nelle redazioni vorrei vedere più cronisti immigrati”
“Nell’immaginario collettivo l’immigrato è considerato in modo negativo. Questo perché manca la conoscenza delle altre culture, anche tra i giornalisti”: ne è convinto Ahmad Ejaz, giornalista pachistano autore per la rivista ‘Azad’, rivolta alla sua comunità di origine in Italia. Secondo Ejaz: “Non chiamiamola stampa multietnica, bensì interculturale, per favorire il senso di parita’”. Il cronista evidenzia il ruolo della cultura già a partire dal lessico: “Io provengo dal mondo islamico e mi fa strano leggere sui giornali, in caso di attentati, la parola ‘kamikaze’, che è giapponese. Io scrivo invece ‘attacco suicida’, anche per ricordare che secondo l’islam, il suicidio è vietato da Dio”. Ma per migliorare questa situazione, “gli ‘aborigeni italiani’ devono aiutarci, insieme agli stranieri e alle seconde generazioni”.
Secondo Lucia Joana Metazama, presidente dell’Associazione delle donne mozambicane in Italia, al contrario “Non esistono più parole per risolvere questa situazione, ormai servono i fatti”. Metazama solleva a titolo di esempio un problema: le difficoltà dei migranti di trovare casa in affitto o il lavoro per via dei pregiudizi diffusi o la paura dell’altro. La risposta a questa situazione, “è proprio trovare lavoro e creare le condizioni di inclusione per queste persone”, tra cui la possibilità di avere i documenti o imparare la lingua italiana, “e nella mia associazione facciamo proprio questo”. “In Italia ci sono 300mila ucraini regolari, ma di loro la stampa italiana non parla” denuncia Oles Horodetskyy, giornalista di origine ucraina, “stanco” anche dello stereotipo che colpisce gli europei dell’est, definiti come “colf e badanti” anche da giornalisti affermati. “Io vengo chiamato dalle testate italiane a lavorare solo quando in Somalia accade qualcosa di brutto” aggiunge il giornalista di origine somala Zakariya Mohamed Ali, che evidenzia anche la mancanza di rappresentanti politici delle comunità straniere “per essere visti e raccontati come gli altri”. “Nelle redazioni giornalistiche vorrei vedere più cronisti immigrati, ma non per scrivere di migrazioni, bensì di ciò di cui hanno le reali competenze” suggerisce Stephen Ogongo, giornalista keniano, fondatore della testata ‘Cara Italia’, il quale incoraggia anche un giornalismo “che spinga le persone a pensare, investendo nella formazione dei professionisti della comunicazione”.
A ricordare che l’immigrazione in Italia è un fenomeno relativamente recente è Fabrizio Ciocca, sociologo esperto di Islam e migrazione, il quale esorta a non lasciarsi scoraggiare troppo dal periodo storico che stiamo attraversando, sebbene sia caratterizzato da forte xenofobia. “Le diaspore devono farsi sentire soprattutto negli spazi in cui il pensiero è diverso”, suggerisce ancora Ciocca, secondo cui, oltre ai numeri, “va data visibilità alle storie di successo, anche e soprattutto attraverso i social network”, oggi strumenti di primo piano nel costruire l’opinione pubblica, nuove fonti e alleati del fiornalismo, se ben impiegati.