Gravi i reati contestati agli imputati, 14 i capi d’accusa ai sensi del codice penale e del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro, per i quali sono previsti diversi anni di reclusione, di qui, ancora la nota della Studio3A, “la scelta del rito abbreviato che darà loro diritto alla riduzione di un terzo della pena. In primis, quelli di omicidio colposo in concorso, con l’aggravante di essere stato commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e ai danni di più persone, e di disastro colposo e di delitti colposi di danno, sempre in cooperazione tra loro”. Sono accusati di aver causato il decesso dei tre turisti “per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nell’aver gestito il sito vulcanico”, classificato dalla Commissione Grandi rischi “in zona rossa”, “in assenza di qualsiasi cautela idonea ad assicurare che l’attività turistico-ricettiva fosse svolta in modo da garantire la sicurezza dei lavoratori dipendenti e dei terzi visitatori”.
Tutti gli imputati, secondo la Procura che ha tratto le sue conclusioni anche grazie ad una perizia affidata a un pool di sette esperti, sapevano dei rischi dell’area, “ma non hanno fatto nulla, in nome del profitto, per metterla in sicurezza”. All’udienza di oggi, dove si è giunti dopo quasi un anno di rinvii a causa dalla pandemia – l’udienza preliminare si era tenuta il 14 gennaio e la requisitoria delle Pm inizialmente era fissata al 4 marzo -, i due Sostituti procuratori hanno, tra le altre cose, confutato l’infondata circostanza che il ragazzino, Lorenzo, avesse scavalcato una catenella e si fosse avventurato in una zona vietata. I due magistrati, spiegano i legali, hanno dimostrato che l’area dove si è consumata la tragedia non era in alcun modo interdetta ma accessibile liberamente a qualsiasi visitatore: il ragazzo, quindi, non ha dunque alcuna responsabilità.
Tante sono invece le responsabilità in capo ai gestori del sito naturalistico, l’unico sito vulcanico a gestione privata. La Solfatara è dalla fine dell’Ottocento della famiglia Angarano e i magistrati ne hanno chiesto la confisca. Nella loro requisitoria, ricostruiscono dalla Studio3A, Frasca e Giuliano “hanno ribadito come l’area fosse gestita nella più diffusa e macroscopica violazione non solo delle stringenti norme di sicurezza previste per siti di particolare delicatezza, come nel caso di una zona vulcanica che avrebbe al contrario richiesto ancora già attenzione, ma anche delle più elementari regole di generale prudenza e di buon senso. È emerso, ad esempio, che le buche che via via si formavano, come quella che ha inghiottito i Carrer, venivano semplicemente riempite alla buona senza alcun controllo né verifica. E, altro aspetto sconcertante, che il sito era privo di qualsiasi autorizzazione: ve n’era solo una sindacale del Comune di Pozzuoli ma limitata all’attivita’ di camping, e non per lo sfruttamento turistico dell’area”. La sicurezza, quindi, piegata, da parte dei gestori del sito, alle logiche del business. “La Procura di Napoli ha svolto un ottimo e complesso lavoro per accertare le responsabilità che hanno portato alla morte di Tiziana, Massimiliano e Lorenzo – commenta Cortellessa – Ora aspettiamo fiduciosi la decisione del giudice”. La prossima udienza sarà il 12 novembre per la discussione delle difese degli imputati.