Stasera su Rai 5 il documentario del Professor Levitin dell’Università di Montreal sul “cervello musicale” di Sting
I neuroscienziati entrano nel cervello di Sting. Cosa accade nel cervello del cantante mentre compone? E ancora, la musica è emozione o esercizio razionale? Il suo esercizio può aumentare il quoziente intellettivo? A dare manforte al progetto di ricerca del professor Daniel Levitin della McGill University di Montreal, l’ex frontman dei Police si è messo a disposizione del neuroscienziato, prestandosi al ruolo di ‘cavia’ per cercare di dare una risposta ai molti misteri ancora irrisolti sui meccanismi che governano il nostro cervello. Partendo da una serie di sessioni di risonanza magnetica, il documentario “Sting. Nella mente di una rockstar” in onda questa sera alle 22.40 su Rai5, viaggia nel “cervello musicale” del grande artista inglese. Il professor Levitin ha spiegati: “Una grossa fetta dell’arte e dell’abilità di un musicista consiste nel saper collegare un’intera vita fatta di esperienze d’ascolto. Anche io sono un musicista e davanti a professionisti come Sting penso sempre sia impossibile per me fare quello che lui ha fatto con la musica.
Questo tipo di esperimenti può aiutare a comprendere come il cervello di un musicista professionista ‘pensa’ la propria arte, come un atleta i propri movimenti, o come un pittore intende il colore e le forme”. Dopo aver dedicato anni allo studio delle reazioni del cervello umano rispetto alla musica, il Professore Levitin può finalmente esplorare gli aspetti più profondi di questo connubio. Gli esperimenti mostreranno la precocità del legame tra cervello e musica, di cui serbiamo addirittura una memoria pre-natale. Allo stesso modo, il legame tra musica ed emozioni può mantenersi inalterato anche nelle condizioni più estreme, come ad esempio nei malati di Alzheimer. La musica ha effetto sulla memoria e può rafforzare le capacita di espressione. Il cervello è un sofisticato sistema di apprendimento; infatti esso dalle vibrazioni esterne elabora i suoni veri e propri; e ciò vale quindi sia per la parola, che per un suono, che per la musica prodotta da strumenti musicali. Fuori di noi non ci sono suoni o rumori, perché essi sono una risposta cerebrale, a determinate vibrazioni del mondo esterno. Le dinamiche di interazione tra vibrazioni del mondo esterno e cervello passano attraverso processi di integrazione di aree cerebrali specifiche, che correlano le emozioni ed i significati alle complesse strutture cerebrali di produzione delle sensazioni sonore.
La Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), permette di misurare e registrare l’attività di un cervello umano in risposta ad uno stimolo. La PET è infatti in grado di farci osservare piccole variazioni di flusso di sangue nelle diverse aree cerebrali. Un aumento di flusso sanguigno in una specifica zona del cervello corrisponde un aumento dell’attività cerebrale di quella zona. Da queste limitate informazioni in particolare si può osservare che a partire dalle aree temporali di ricezione delle vibrazioni sonore un essenziale punto di snodo della informazione generata da differenti tipologie di vibrazioni e le zone talamiche responsabili dell’attivazione di stati emotivi, è situato nella zona immediatamente sottostante al lobo frontale dell’acumen; un diverso smistamento di informazione avviene per procedimenti di integrazione che raggiungono l’area di Wernicke collocata circa al centro dell’emisfero superiore sinistro del cervello; area quest’ultima deputata alla interpretazione cognitiva dei suoni. Dato che le vibrazioni esterne passano debolmente anche attraverso il corpo, anche il cervello delle persone non udenti riesce a percepire la musica, cosi come il bambino, ancora nella pancia materna, inizia ad apprendere come produrre dalle vibrazioni esterne la sensazione interiore del suono e riconoscerne il timbro, il tono e la frequenza. È pertanto comprensibile che l’esercizio musicale sviluppi aree di integrazione specifiche del cervello; quella relativa a udire per interpretare e cioè a distinguere i suoni come fenomeno cognitivo, l’altra relativa al sentire percettivo che si colloca soprattutto nella attivazione delle funzioni emotive.
Quindi il fatto che l’esercizio musicale sia utilizzato per migliorare anche le capacità cognitive generali è possibile ed utile, poiché le aree corticali uditive e sensoriali realizzano uno sviluppo di apprendimento maggiore rispetto a chi non si occupa di musica. Una varietà di studi recenti che si è focalizzata sulla neurologia della musica, del rumore, della parola nonché sulle soglie dell’udito, ha avuto un recente sviluppo e, traendo conoscenza da essa, è importante rammentare che le note e le scale musicali vengono mediate primariamente dall’emisfero sinistro (area di Wernicke) e le melodie dall’emisfero destro del cervello. Certamente per attuare strategie capaci di ascoltare la musica, con un coinvolgimento globale del nostro sistema nervoso cognitivo e delle funzioni emotive a questo connesse è necessario fare attenzione ai risultati che ogni individuo può ottenere da differenti metodologie di apprendimento. Infatti la musica può esasperare comportamenti di socializzazione di massa, interagendo direttamente con i complessi fenomeni bio-chimici che correlano il corpo con zone talamiche del cervello che sono alla base delle emozioni; quest’ultime diversamente dalle attività cognitive sono meno regolabili dalla ragione e pertanto meno coscienti. Certamente ognuno di noi potrà provare come aumenti l’aggressività e quindi la forza durante l’ascolto della “Cavalleria Rusticana”, rispetto a quando si ascolta una “Ninna Nanna”; pertanto è possibile capire come gli effetti subliminali agiscano indipendentemente dal nostro volere cosciente e come essi nelle ripetitività possano divenire condizionanti per effetto di una pressante continuità di ascolto della musica.