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Nisida, l’isola che non c’è

A pochi passi dal litorale di Bagnoli un angolo di Paradiso negato alla gente, accessibile solo ai giovanissimi destinati al carcere minorile e assediato, per decenni, dall’industria metallurgica. A quando il rilancio?

Avete mai visto Nisida dal mare? Fidatevi: merita che lo facciate. Lo spettacolo offerto dall’isolotto dell’arcipelago flegreo, lì tra Coroglio e Capo Miseno, vi lascerà a bocca aperta. È veramente una cartolina dal paradiso quella che si spalancherà davanti ai vostri occhi. Un “angolo di Eden” bagnato dalle onde del Tirreno. Ma tranquilli: non occorre che prendiate una barca per ammirare questo scorcio in tutto il suo splendore: basterà anche solo una passeggiata sul pontile della vecchia Italsider. Oppure una vista dall’alto, lì, direttamente dalla collina di Posillipo. Quali meraviglie si materializzeranno davanti ai vostri occhi! Perché sì: Nisida, isolotto di origine vulcanica (proprio come Ischia), è veramente un capolavoro di madre natura, plasmato e lasciato in dono alla terra di Partenope. Fonte d’ispirazione per gente del calibro di Jacopo Sannazaro e Matilde Serao, quest’isolotto vi sorprenderà.

Storia alla mano, sembra che il toponimo derivi dal greco “Nesida”, che significa “piccola isola”. E che, con ogni probabilità (anche se non è certo), fu proprio a questo scoglio, allora ricco di una lussureggiante vegetazione, che Omero si ispirò quando narrò “dell’isoletta delle capre”, il luogo in cui Ulisse trovò rifugio a poco distanza dalla terra dei Ciclopi.
Tra mito e leggenda, se in epoca romana, qualcuno come Lucio Licinio Lucullo, divenuto famoso per i suoi lauti e “preziosi” banchetti, scelse questo pezzo di terra per edificarvi la propria ricca dimora, un motivo ci sarà stato, non trovate? È straordinaria adesso, Nisida, sarà stata straordinaria allora, quando la mano dell’uomo non aveva ancora “antropizzato” e rovinato il vicino litorale, edificandovi una cittadella industriale (e spargendo veleni nelle acque che la circondano). Si racconta, tra l’altro, che fu proprio a Nisida che Marco Giunio Bruto, insieme a Cassio, ordinò la celebre congiura contro Cesare. E fu sempre qui che Porzia, sua moglie, scelse di togliersi la vita (mentre il marito moriva in battaglia a Filippi), inghiottendo carbone ardente dal momento che nessuno aveva voluto darle una spada per farla finita.

In tempi più recenti (parliamo del XV secolo), anche la regina Giovanna II d’Angiò scelse di farsi una villa lì sopra. La sua regale dimora, tuttavia, fu trasformata, nel corso degli anni, in un castello, diventando, via via, nell’epoca del Vicereame, uno dei punti principali della rete di avvistamento e fortificazione posta a difesa delle coste del Regno.
Insomma, anche se dei reperti romani rimane ben poco (a parte quattro grotte di un ninfeo), anche se molte di quelle più “recenti” strutture sono state progressivamente ridestinate ad altri usi, dividendosi tra un presidio militare e un carcere minorile, è chiaro come a due passi dal litorale di Bagnoli sorga un pezzo di terra che ha contribuito a scrivere alcune delle pagine più belle ed importanti della storia della Capitale del Regno delle Due Sicilie.

Bene. La domanda, allora, nasce a dir poco spontanea: perché, a fronte di questo po’ po’ di “passato”, Nisida continua ad essere…l’isola che non c’è? Perché questo angolo di paradiso continua ad essere negato al mondo circostante? Perché un tesoro come questo continua a tenere chiuso, sigillato e negato il suo preziosissimo scrigno?
Ah, sì. Forse qualcuno ancora non lo sa, ma – detto per i non napoletani – l’isola di Omero, Lucullo, Bruto, Porzia e della regina Giovanna non è accessibile al pubblico dal momento che ospita l’istituto penale minorile di Napoli, e che il suo piccolo porto, un tempo utilizzato dalla Nato, ora è sede del comando logistico della Marina Militare Italiana. Si può solo ammirare, insomma. Possibilmente da lontano, come vi abbiamo invitato a fare noi. Già! Abbiamo scoperto l’acqua calda, dirà qualcuno! Può essere. Mi chiedo, però: anche l’isola di Alcatraz, lì, negli Usa, ha ospitato, per anni, un ben più tristemente famoso penitenziario, dove sono stati rinchiusi gangster e boss del calibro di Al Capone.

Eppure oggi su quella roccia circondata dalle gelide acque della baia di San Francisco, vengono organizzate visite guidate tutti i giorni, essendosi dunque trasformato quel luogo di pena, fonte di ispirazione di tanti film hollywoodiani, in un’attrattiva turistica. Ed anche a Santo Stefano, per tornare a casa nostra, nell’arcipelago delle Isole Ponziane, un vecchio carcere di epoca borbonica, utilizzato, in epoca fascista, per rinchiudervi alcuni tra i più noti dissidenti politici del ventennio (tra questi anche il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini), è attualmente al centro di un vasto piano di recupero che mira a trasformare l’ex prigione in un luogo destinato ad ospitare manifestazioni culturali, kermesse espositive e corsi di alta formazione.

Cosa ci impedisce, dunque, di pensare lo stesso anche per Nisida? Cosa ci impedisce di pensare un futuro turistico anche per l’isola di Bagnoli? Cosa ci impedisce di sognare un nuovo approdo, sia pur contingentato, viste le ridotte dimensioni dell’isola, magari per un turismo di nicchia, anche a queste latitudini? Intendiamoci: le stiamo gettando là. Non sta certo a noi indicare cosa potrebbe sorgere su quell’isolotto, lì, in uno degli angoli più belli, affascinanti e suggestivi della Terra del Mito, negato alla gente, “accessibile” solo ai giovanissimi destinati al riformatorio e assediato, per decenni, dall’industria dell’acciaio. Un museo, un casinò, un centro termale. Fate vobis. Qualsiasi sarebbe meglio di ora pur di (ri)consegnare Nisida a Napoli ed ai Napoletani.

 


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