Piaccia o non piaccia all’ultrarenziano Roberto Giachetti, la metamorfosi dei fedelissimi di Matteo Renzi – assicurano attente voci di dentro – sarà rapida e attraverserà tre fasi: dal renzismo, al zingarenzismo, al zingarettismo.
È la metamorfosi della sopravvivenza, questa; è la mutazione tesa ad assicurare lunga vita parlamentare ai postrenziani, numerosi soprattutto nel Gruppo del Senato.
Frattanto, in attesa delle Mutazioni, Nicola Zingaretti – ieri ufficializzato nuovo leader del Pd – traccia per grandi linee il futuro del Partito. E Paolo Gentiloni, neo eletto Presidente, lascia trasparire qualche indizio: “il nostro avversario è Salvini”, dice. Un modo per non chiudere la porta al M5s.
Inutile dire che l’eventuale avvio di un dialogo con i Cinquestelle rappresenterebbe anche uno schiaffone a Matteo Renzi che – nella fase popcorniana – si oppose al dialogo avviato tra Maurizio Martina e Luigi Di Maio.
Zingaretti – dal canto suo – ha ripetuto che nel Pd deve cambiare tutto. E l’avvio del dialogo col M5s rappresenterebbe un passo fondamentale della rivoluzione zingarettiana.
Carlo Calenda – intanto – parla di aria fritta a proposito del suo Manifesto antisovranista. Parla di larghe alleanze in assenza di materia prima, quella costituita dai soggetti interessati all’impresa. Sogna, il pariolino Calenda, mentre nessuno lo ascolta.
Detto papale papale, – al di là delle chiacchiere, dei pudori e dei deliri calendiani – l’unica strada percorribile dal Pd per rientrare in gioco è dunque quella che porta all’incontro col M5s, sempre che – ovviamente – i Cinquestelle si mostrino disponibili.
Naturalmente occorrerà un po’ di tempo, quel tempo necessario che possa garantire a Zingaretti gli indispensabili numeri in Parlamento, numeri che al momento non ha. Li otterrà a metamorfosi ultimate…
Zingaretti ha nelle sue mani le chiavi delle liste… E ricandidature e riconferme in Parlamento valgono bene una conversione…