Il Professore Lingiardi: “Deve essere una diagnosi che cala il soggetto nella sua realtà bio-psico-sociale”
Dal punto di vista della diagnosi per gli psicologi ricorre un altro anniversario: i 25 anni dal famoso Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm). “Dal 1994 a oggi la comunità degli psicologi ha dovuto fare riferimento al Dsm, una diagnosi psichiatrica medica rispetto alla quale, però, ha avuto sempre un rapporto un po’ ambivalente: c’è chi l’ha affrontata con spirito di servizio, chi più obtorto collo, chi con un certo spirito burocratico, ma fondamentalmente con un disinteresse per il compito diagnostico. Gran parte del mio lavoro, come ricercatore e accademico, è stato teso a creare un interesse nei confronti della diagnosi anche da parte degli psicologi”. Lo racconta Vittorio Lingiardi, professore ordinario di Psicologia dinamica de La Sapienza Università di Roma, prendendo parte al trentennale celebrato ieri dall’Ordine nazionale degli Psicologi. Lo Psicologo e psicoanalista poi aggiunge: “La proposta diagnostica per uno psicologo non può essere solo la diagnostica oggettivante, che parte da un principio puramente descrittivo. Deve essere una diagnostica che cala il soggetto nella sua realtà bio-psico-sociale e che si rapporti in modo conoscitivo e con reciprocità all’operazione diagnostica. È quella che io chiamo l’alleanza diagnostica- sottolinea l’esperto- ed è il requisito necessario alla costruzione della cura e quindi all’alleanza terapeutica”. È questo il significato sotteso alla creazione del Manuale diagnostico e psicodinamico (PDM-2). “Un’impresa che ho costruito insieme a Nancy McWilliams per dotare la compagine degli psicologi di un manuale diagnostico che include i concetti e le competenze di tipo cognitivo e neuroscientifico”.
Il PDM-2 è un documento fruibile per la comunità psicologica nel senso più ampio, “per affrontare la diagnostica del paziente dal punto di vista del suo funzionamento mentale, dei suoi stili e delle sue caratteristiche di personalità, ma naturalmente anche dal punto di vista dei suoi sintomi e della relazione con il clinico. La diagnosi è un momento in cui un esperto dice al paziente qualcosa del suo funzionamento mentale- spiega Lingiardi- ma è anche un momento in cui il paziente coglie e capisce qualche cosa del suo funzionamento, delle sue relazioni e di come il clinico si rapporta lui. È un momento di conoscenza relazionale, senza il quale non si può fare il passo successivo, l’invio. In base a quale riflessione il clinico diagnosta decide che per quel paziente vada bene quel determinato tipo di intervento con quel tipo di psicologo o di psicologa? Ecco che diagnosi, alleanza diagnostica, riflessione sull’invio e costruzione dell’alleanza terapeutica sono momenti che lo psicologo e la psicologa devono sempre tenere insieme. Sono imprescindibili per un buon esercizio della professione”, chiarisce il professore de La Sapienza. “Nella relazione terapeutica esistono fattori che chiamiamo aspecifici che sono relazionali e trasversali a qualunque tipo di approccio. Esistono sia nell’ambito cognitivo che dinamico e sistemico-familiare. Poi ci sono i fattori specifici- continua lo PSICHIATRA- quegli aspetti tecnici dell’intervento che sono più legati ai singoli modelli. La ricerca ormai ha appurato che in termini di cura e di outcome positivo il fattore relazionale è il fattore trasversale della cura. Naturalmente deve essere compiutamente declinato con i suoi fattori specifici- conclude- nell’ambito delle differenti competenze e dei differenti approcci”.