Riccardo Piccirillo-RicPic, “Il Silenzio che c’é fuori” dieci anni di musica nelle mie fotografie.

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“Il Silenzio che c’è fuori” è anche disponibile, per soli 50 collezionisti, in edizione deluxe numerata e corredata da tre stampe firmate dall’autore.

Esce il 27 maggio il primo libro di Riccardo Piccirillo, fotografo ritrattista napoletano che ha deciso di raccontare con questa antologia i suoi primi dieci anni di carriera. Il volume, edito da Emuse e curato da Barbara Silbe, si intitola “Il Silenzio che c’è Fuori”, ed è confezionato in una veste grafica che ricorda quella dei vecchi vinili 33 giri, quindi in formato quadrato 30×30 cm, e 96 pagine su carta pregiata dalla quale esce tanta musica.

Riccardo Piccirillo, in arte RicPic

L’autore riconsegna così al suo pubblico i molti volti celebri fotografati nella sua città durante concerti live o in sessioni in studio e in esterna. Una galleria di quasi trecento personaggi che hanno segnato la storia della musica, sfilati davanti al suo obiettivo e da lui interpretati per le copertine dei loro dischi. Ci sono James Senese, Marco Mengoni, Enzo Gragnaniello, Renzo Arbore, Pino Daniele, Maldestro, i 99 Posse o i Litfiba, tra gli italiani, ma anche Patty Smith, Bob Geldof, gli America, Michael Bolton, Peter Cincotti o B.B. King, passando per i rapper o i blues e rock man più famosi. Piccirillo stesso viene da lì: è stato un chitarrista blues prima di comprendere che preferiva lasciare un segno in questo mondo attraverso le immagini. Dal 2010 e da autodidatta ha intrapreso una strada dove è difficile affermarsi e conquistarsi la fiducia degli artisti, oggi ha al suo attivo numerose copertine di dischi e il suo studio nel centro della città partenopea è diventato il crocevia culturale di molti di loro, che passano di lì anche solo per salutarlo.

Il volume è impreziosito dai disegni dell’illustratrice Piparula, nome d’arte di Barbara Selis, che ha curato anche la grafica dell’impaginato e da un testo dello scrittore Lorenzo Marone che così parla del fotografo: “Nei suoi ritratti c’è l’uomo con tutta la sua minutaglia, i personaggi della commedia umana, il farabutto, il cinico e il sognatore, e davanti al suo sguardo i timidi si fanno spavaldi. Ma sotto i suoi riflettori non ci sono attori, solo l’uomo che sta nel tempo, come può. Sono racconti ricchissimi e incompiuti le sue fotografie, come la vita, come la bellezza che inseguono, i musicisti che ritraggono, pieni di incanto e delirio nelle loro forme stravaganti da filosofi e giullari. E dentro a ogni storia c’è lei, la musica che lega spazio e tempo, e non ti fa sentire il silenzio che c’è fuori”.

Secondo Barbara Silbe: “Riccardo si è fatto strada in un ambiente complesso e spesso inaccessibile, cercando per se stesso un ruolo che lasciasse un segno sul pentagramma. Ha saputo dirigere questa immensa band, ogni singolo scatto è esattamente come lo voleva, ogni inquadratura sinossi di un incontro umano prima che professionale. Sul palco o in studio sono fioriti rapporti, relazioni d’amicizia e aneddoti che lui potrebbe raccontare per giorni e che gli hanno consentito di restituire allo spettatore la personalità dei personaggi, guidato dalla sua abilità nel suggere da loro l’essenza e farli vibrare come strumenti. Mescola colore e bianco e nero, dinamismi e pause, live e posati e foto promozionali, adattandosi empaticamente a qualsiasi contesto, battendo il tempo, come se suonasse. Perché quell’istinto rimane, anche quando imbraccia la fotocamera e pigia sull’otturatore per raccontare le storie che trova negli occhi degli altri. Tocca corde profonde, la sua fotografia, si infila nell’intervallo tra le note, nel racconto e nella sorpresa che viene da dentro e arriva a ognuno di noi”.

“Ho rispetto della musica e di chi la fa – confessa lo stesso Piccirillo nel libro – Fin da bambino compravo i dischi e li ascoltavo in solitudine, a volume alto e tenendone la copertina sulle ginocchia. Associavo le foto che osservavo alla musica che mi arrivava all’orecchio, leggevo i testi e così creavo quel mio mondo dove nessuno poteva entrare. Crescendo, ho scoperto che non ero il solo a comportarmi così. Rimasi colpito dall’incontrare altri ascoltatori asociali che avevano mondi quasi uguali al mio. Diventavamo immediatamente amici, come se quel nostro modo di intendere la musica ci rendesse speciali e unici, come quando due persone nate nella stessa città si incontrano per caso in un posto lontanissimo e improbabile, oppure come due tifosi della stessa squadra in trasferta all’estero: all’improvviso avverti appartenenza. Io appartengo a quelli che la musica la vivono ancora così”.

 


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