Nunzia Gionfriddo ha dato alle stampe il secondo volume di un’avvincente saga umana più che familiare.
Dopo “Gli angeli del Rione Sanità”, pubblicato da Kairòs Edizioni nel 2017, arriva in libreria “Sopravvissuti”, il romanzo che segue le vicende di Beppe Barone, della sua famiglia allargata e della comunità cui visceralmente appartiene: quel Rione Sanità che l’autrice disegna con tocco lieve, senza fronzoli e senza veli pietosi. Una Napoli che, dopo le Quattro Giornate, lotta per ricominciare a vivere, orgogliosa di essere stata la prima città in Europa a liberarsi- contando sulle sue esangui forze- dal Nazi-fascismo.
Una città che baratta presto l’orgoglio con le AMlire distribuite da quegli alleati che, fino a poche settimane prima, bombardavano a tappeto mirando all’acquedotto, agli ospedali, agli obiettivi civili per fiaccare la resistenza dei Tedeschi. Napoli si libera da sola, ma poi si svende per sopravvivere; e i mali antichi della città trimillenaria escono dal buio in cui si erano celati e tornano, con nuove vesti e il volto di sempre. La Gionfriddo racconta -e fa vivere al lettore- l’era del Comandante Lauro, la malapolitica, la speculazione edilizia e l’avvento di un consumismo fatto di televisori, frigoriferi, lavatrici e utilitarie ma narra anche di un passaggio di testimone importante. Non quello tra i buoni borghesi e i loro figli, ma quello tra i Partigiani e i ragazzi del ’68, entrambi con i loro dubbi, le domande irrisolte, lo sguardo al futuro minacciato dalla crisi della Baia dei Porci.
L’autrice spesso affida ai personaggi la sua indignazione, investendoli del compito di dichiarare la loro vibrante protesta contro un mondo che sembra- ed in realtà è- l’esatto opposto di quello per cui hanno combattuto, quello per cui Mariuccio è morto senza poter conoscere sua figlia concepita nella cittadella confinaria di Ventotene. C’è, all’interno di questa famiglia allargata che ruota intorno alle vicende di Beppe, il postino del Rione Sanità, un universo femminile interessante e composito all’interno del quale spicca, a parere di chi scrive, la figura di Enzina.
A lei l’autrice sembra affidare la chiave del riscatto di questa piccola comunità di ragazzi cresciuti tra gli stenti del Dopoguerra prima che diventasse boom economico: figli, nipoti, orfani di guerra che crescono insieme e che-sodali- si riconoscono e si aiutano per cambiare le loro vite e il mondo. Senza aver terminato gli studi, Enzina si appassiona alla lettura grazie ai buoni uffici di Ciruzzo, futuro medico; e in virtù del suo amore per i libri riesce a trovare un ottimo lavoro e a realizzare il suo sogno d’amore, pur se dovrà venire a patti con un altro tiro mancino della vita.
Su questo ci auguriamo la Gionfriddo scriva ancora per raccontare del figlio di Enzina e di un’altra pagina dolorosa della nostra storia: quegli Anni di Piombo che fecero altre vittime, altri orfani in nome di un’ideologia che voleva combattere la malapolitica con gli attentati e le bombe.