Un’emorragia che non accenna a fermarsi. Prosegue la fuga dei giovani più “qualificati” dal Mezzogiorno verso quelle aree del Paese che offrono più prospettive per il loro futuro. Lo rileva una recente indagine anagrafica dell’Istat che ci consegna un’istantanea dello “Stivale” decisamente a due facce: da una parte il solito Sud che arranca; dall’altra le regioni del Centro Nord, meglio attrezzate e capaci di attirare a sé energie fresche e vitali.
Prevalentemente giovani, in età attiva, tra i 18 e i 35 anni di età. Nulla di nuovo sotto l’italico cielo, intendiamoci. Eh, sì: quante volte ce lo siamo sentiti dire in questi anni? “Che ci faccio qui dopo l’università, che me ne faccio del mio titolo di studio se a casa non c’è lavoro?” E via, di corsa, verso lidi più attrezzati, dove trovare un posto non è più un miraggio! Non solo Nord Italia, sia beninteso. Perché sono sempre più numerosi anche i meridionali che trovano lavoro all’estero.
Insomma, viene voglia di chiedersi: cosa è cambiato rispetto alla grande emigrazione degli anni Sessanta del ‘900? Cosa è cambiato rispetto ai fenomeni migratori di massa che caratterizzarono la fine del XIX secolo e gli inizi del XX? Sicuramente le fasce di età (oggi sono prevalentemente le “nuove leve” quelle che vanno via). Sicuramente la tipologia dei partenti (allora non era raro assistere all’eradicazione di interi nuclei familiari, anziani compresi, dai loro borghi natii), poi il titolo di studio e le “speciali competenze” di quanti, nel terzo millennio, vanno cercando fortuna lontano da casa. Di sicuro un neolaureato che oggi si trasferisce, mettiamo in Lombardia o in Emilia, non può essere paragonato al manovale che, nel dopoguerra, emigrava in Svizzera, in Belgio, in Germania, a Milano o a Torino. Sempre l’Istat ci dice, infatti, che il 41% di quanti adesso dicono addio al Mezzogiorno e si dirigono verso il Centro-nord, è in possesso di almeno la laurea, mentre uno su tre si muove con in tasca il diploma. Per dirla con altre parole: il livello di istruzione è decisamente cresciuto rispetto ai tempi dei nostri padri e dei nostri nonni, quando erano più che altro esperienza, manualità e solita “arte dell’arrangiarsi” il motore di tanti, troppi viaggi della speranza, quelli passati alla storia per le tristemente famose immagini delle valigie di cartone calate dai treni. Chiariamo subito: ben magra consolazione, questa, se poi il risultato finale resta lo stesso. Titoli o non titoli in tasca, infatti, da una parte c’è un territorio che continua a privarsi delle sue energie migliori, dall’altra chi comunque si rivitalizza e cresce grazie all’innesto di forze fresche, dinamiche e ben preparate. A costo di ripeterci: ciò che non è mutata, da allora, è stata la capacità del Mezzogiorno di tenere avvinti a sé tanti, troppi suoi figli perduti. Ma di chi è stata la colpa dello spopolamento di interi paesini? Chi il vero responsabile del mancato decollo del Sud Italia? E’ veramente tutto e solo demerito di noi meridionali se siamo rimasti al palo del cosiddetto “sviluppo”? E perché non si è mai realmente scommesso (o, se lo si è fatto, lo si è fatto troppo poco) sulle nostre straordinarie risorse, in particolar modo turismo, natura, arte e cultura?
Il discorso è molto complesso né si possono fornire risposte semplici ed immediate a quesiti così articolati. Diciamo pure che forse non è proprio questa la sede ideale per avviare un più approfondito dibattito sull’argomento (di “questione meridionale” si parla ormai da oltre un secolo). Però è anche vero che ci pare di assistere al classico cane che si morde la coda, perché se è acclarato che sono i migliori, i più dotati ed intraprendenti quelli che se ne vanno, cosa mai si potrà pretendere, poi, da chi resta? Ma procediamo. O almeno, proviamo ad abbozzare una qualche traccia di risposta. Con un invito, così, a freddo, a quanti non lo hanno mai fatto in vita loro, a farsi un viaggio sulla Sila Grande, alla scoperta di località come Lorica ed il suo straordinario lago (artificiale) Arvo. Chiudete gli occhi e non perdetevi questo tour. Andateci, possibilmente d’inverno (quando la pandemia ce lo consentirà). E diteci se non vi trovate in uno dei posti più belli del mondo! Vi sembrerà di stare in uno dei tanti conosciuti, più rinomati soggiorni invernali del ricco Nord. Nossignore però: non è Madonna di Campiglio o l’Alpe di Siusi, non siamo a Pragelato o Courmayeur. Siamo in Calabria, nella profonda Calabria Cosentina. Ed il paradiso è quello di uno dei massicci più emblematici e misteriosi del nostro straordinario Mezzogiorno: l’acrocoro della Sila, con i suoi altipiani, le sue cime montuose, le sue zone boscose ed i suoi meravigliosi laghi d’altura.
Sissignore, anche qui vi sembrerà di stare ad “un passo dal cielo” come recita il titolo della celebre fiction. Cosa manca allora affinché anche in questo luogo incantato possa svilupparsi un turismo invernale capace di attirare migliaia di turisti? Cosa manca perché anche qui, come altrove, possa svilupparsi un indotto capace di generare lavoro come, mettiamo, a Sestriere? Il discorso, lo ribadiamo, è complesso e potrebbe anche essere esteso ad altre aree del Mezzogiorno perché, ad esempio, sempre rimanendo in terra calabra, quanto detto per la Sila, potrebbe tranquillamente valere per il mancato sviluppo del turismo balneare lungo le incantevoli coste tirreniche e joniche, che nulla hanno da invidiare alla più prolifica Riviera Romagnola. Come mai allora, a parità di bellezze e risorse naturali, quel che vale al Nord non può valere al Sud? Forse che il mare di Riccione è…meno salato di quello di Cirò Marina? Be’, cari amici, inutile girarci attorno. La storia è arcinota.
Al Sud mancano le strutture essenziali, quelle fondamentali e strutturali affinché un viaggiatore possa realmente mettersi in cammino alla scoperta di luoghi da mille e una notte di cui pure c’è abbondanza anche a quelle latitudini: l’alta velocità è rimasta ferma a Salerno e la linea ferroviaria che unisce borghi e città di questo lembo estremo di Penisola, è ancora la stessa di trenta e passa anni fa (la maggior parte degli spostamenti avviene ancora su gomma). Come autostrade, siamo ancora in attesa del definitivo completamento della Salerno Reggio-Calabria (tra l’altro l’unico nastro d’asfalto che ancora unisce la spina dorsale del Paese alla punta dello Stivale), mentre porti ed aeroporti continuano a rimanere poco sviluppati e addirittura, udite udite, in pieno terzo millennio, neanche l’accesso all’acqua potabile in molti Comuni è stato definitivamente garantito (!). Poche, infine, sono anche le strutture ricettive degne di questo nome per non parlare dell’indotto, praticamente assente, mentre un po’ ovunque impera l’arte del “fai da te” che, in un turismo d’élite, paga decisamente poco.
Ripetiamo la domanda: di chi la colpa allora? E perché a distanza di così tanti anni (ricordiamo che l’Italia è nata nel 1861 non un lustro fa!) esiste ancora un divario così netto tra le due parti della Nazione?
Lo dico a denti stretti, ma a mio parere gran parte dei demeriti per il mancato decollo del Mezzogiorno, è legata alla mole di investimenti nata male e finita peggio, in particolar modo dal dopoguerra ad oggi, quando si è sprecato tanto, a casaccio (fondi finiti chissà dove), e speso peggio, limitandosi a delocalizzare al Sud le succursali dei grandi poli industriali del Nord, con il risultato di lasciare poco al territorio, in termini di ricavi e guadagni. Investimenti poco lungimiranti, dunque, pensati non per generare ricchezza in loco, ma per drenare quella che già c’era sul posto. Molto meglio uno stabilimento qua ed un maxi-centro commerciale là che non, mettiamo, l’incentivazione di una più mirata campagna di scavi capace di dare ancora più forza e appeal al richiamo turistico delle tante cittadelle greco-romane sparse nel Sud dell’Italia.
Fuor di metafora: è mai possibile che l’unica cosa che siamo in grado di fare dalle nostre parti è lasciare che vengano realizzati…mega-poli commerciali? Luoghi in cui fare shopping, acquistando beni che magari vengono prodotti altrove, col risultato di rendere ancora più ricchi, con i nostri soldi, chi quelle merci produce? E’ veramente solo questo l’aiuto che serve al Sud? Cosa ci vuole a capire che installare “solo” punti vendita equivale a far “uscire” ricchezza e non a lasciarla dove magari questa potrebbe fruttare? E che se apri un centro commerciale qua, evidentemente sarai costretto a chiuderne un altro poco più in là? Vedete la fine che hanno fatto tanti nostri centri storici, rimasti senza più botteghe e negozi!
Ok, obietterete voi, questo però non è un problema solo meridionale. D’accordissimo. Se però il problema diventa “anche” meridionale, in un’area che di rogne ne ha già tante, converrete, la cosa rischia di pesare un pochettino di più rispetto a quanto accade in altre località della Penisola. Ma andiamo avanti.
Provate a volare con la fantasia ed immaginatevi di notte, vestiti da antichi romani, sugli spalti dell’anfiteatro di Pompei illuminato dalla luce di mille fiaccole. Sotto i vostri occhi, in basso, nell’arena, si affrontano i gladiatori. Ecco materializzarsi davanti a voi il celebre murmillo, armato di lancia, elmo e scudo gallico, e poi il retiarius mentre stringe tra le mani la rete con la quale cerca di avvolgere l’avversario. Ci sono anche il secutor, il “contrarete”; il thrax, munito di elmo, gambali, spada e lancia curva ed il samnes (detto anche oplomachus), armato alla sannita vale a dire con spada dritta e grande scudo. E voi, su, in alto, ad incitare i combattenti e poi magari, a decretarne la sorte, col pollice su o il pollice giù. Ovviamente è tutta una finzione e quei guerrieri che state vedendo affrontarsi con tanta foga, sono solo figuranti. Attori con indosso abiti di scena. Ecco, ora apriamo gli occhi e chiediamoci: perché uno spettacolo del genere non potrebbe essere realmente organizzato in un contesto come l’anfiteatro romano? Ma ve lo immaginate? Al di là dei benefici che ne potrebbero derivare per attori e comparse (che ovviamente sarebbero pagati per lo show da loro offerto), pensate per un istante al territorio: chissà quanti turisti, dopo essersi goduti un tour tra le rovine antiche, sarebbero disposti a rimanere nella città degli Scavi per trascorrere una serata diversa, proprio come facevano i pompeiani di duemila anni fa. Una serata all’insegna della rappresentazione storica, s’intende. Magari organizzata con un semplice sovrapprezzo sul costo del biglietto, così da trovare anche i fondi per le assoldare le compagnie di figuranti. In tal modo si potrebbe incentivare ancor più il turismo locale, sovente costretto al mordi e fuggi, trasformandolo in stanziale, con tutta i correlati vantaggi che ne deriverebbero per l’indotto.
Va bene. Forse stiamo esagerando con la fantasia. Può darsi. La nostra è solo un’idea, buttata giù, così, all’improvviso. Ma allora vi siete chiesti perché mai a Natale, località come San Gregorio Armeno e Spaccanapoli vengano letteralmente prese d’assalto dai turisti? E’ solo perché la gente ha bisogno di nuovi…pastori da mettere sul presepe? O non succede anche e soprattutto per quel fascino misterioso ed impalpabile che solo quei luoghi sospesi nel tempo, sono in grado di esercitare sui visitatori? Il fascino dei secoli, il mito della storia.
Siamo realmente sicuri che non valga la pena investire sulla promozione di modelli come Capri e Sorrento, Matera e Taormina, Pompei ed Ercolano, o come il Giffoni film festival, solo per citarne alcuni, invece di realizzare maxi-cittadelle commerciali in cui limitarsi a passeggiare con il…carrello della spesa? Certo. C’è bisogno anche di queste al Sud. Nessuno lo nega. Ma per amor di Dio: non solo di quelle!
Perché allora non puntare anche al Sud in maniera più sistematica, intelligente e programmatica, valorizzando le risorse di cui solo la nostra terra dispone? Perché non si insiste sulla promozione delle tante eccellenze meridionali, dall’artigianato, al tessile, fino all’enogastronomia, con una campagna mediatica mirata, massiccia ed intensiva, promuovendo, agli occhi del mondo, ciò che di bello, raro e prezioso il “made in Sud” è in grado di offrire, dal vestiario alla tavola?
Perché non si dota, un volta e per tutte, anche questo spicchio di Paese di quelle stesse infrastrutture di cui l’altra metà gode ormai da decenni? Perché non pensare che uno spettacolo ben organizzato tra le fascinose rovine di un vecchio castello diroccato possa anche “funzionare”?
Possibile che ancora oggi, non ci si sia messi d’accordo sul futuro da destinare all’area industriale dismessa di Bagnoli (300 ettari di terreno che si estendono fino al mare), lì dove, nel 1889, il grande architetto e urbanista Lamont Young sognava di realizzare una nuova Venezia e lì dove oggi, potrebbe sorgere uno dei parchi urbani più belli del mondo, con vista mozzafiato sul fiabesco scenario del litorale flegreo?
Se decido che il futuro del Meridione passa anche per il turismo (culturale o naturalistico che sia), evidentemente penserò prima al turista, immaginando cosa questi verrebbe a cercare una volta messo piede a casa mia e di che cosa avrà maggiormente bisogno, non solo in quale negozio egli andrà, evidentemente, a spendere i propri soldi!!
Pensiamoci cari amici. Pensiamoci sempre.
A proposito: ma voi che idea avete per il rilancio del Sud?