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TURCHIA, 4.500 MIGRANTI FERMATI. ERDOGAN “BECCA” 20MILA QUERELE.

Le autorità della Turchia hanno bloccato migliaia di migranti. Erdogan sosterrà 6mila processi.

La Turchia ha fermato nell’ultima settimana alle frontiere ben  4.567 persone che tentavano di entrare nel territorio dell’Unione europea o di entrare nel Paese senza regolari documenti. Di queste, 503 sono state intercettate in mare. Lo riferisce il ministero dell’Interno, secondo cui nello stesso periodo sono inoltre stati arrestati 187 sospetti trafficanti di esseri umani. Dal contestato accordo con Bruxelles del marzo 2016, i migranti e rifugiati che dalla Turchia raggiungono ogni giorno l’Ue, soprattutto la Grecia, sono notevolmente diminuiti. Intanto, il grande fermento che sta attraversando il Paese in questi giorni prosegue con l’attacco giudiziario nei confronti di Erdogan. Ben 20 mila querele per il presidente e 6.000 processi avviati. Cresce in Turchia il numero di procedimenti e processi aperti dalla magistratura per “ingiuria e diffamazione nei confronti del presidente della Repubblica”, Recep Tayyip Erdogan. Dei 20.539 procedimenti aperti nel 2017 6.033 si sono trasformati in processi in seguito a rinvii a giudizio nel 2018.

Un numero in crescita esponenziale a partire dal 2014, anno dell’elezione a presidente della Repubblica di Erdogan, che ha poi subito una ulteriore impennata in seguito al golpe fallito il 15 luglio 2016.Numeri messi in risalto dalla giornalista della edizione turca della Deutsche Welle, Burcu Karakas, che fa notare che il reato e’ entrato nel codice penale nel 1993, ma prima di Erdogan non si sono praticamente registrati rinvii a giudizio. Secondo Reporter senza Frontiere invece sono 53 i giornalisti condannati fino ad oggi per il reato di ingiuria o diffamazione nei confronti di Erdogan. “Si tratta di un reato da eliminare dal codice penale, anche perche’, al di la’ delle condanne effettive contribuisce a creare un clima di paura nel Paese e non giova alla liberta’ di espressione, considerando che molte querele sono scaturite da status condivisi sui profili social”, ha dichiarato al telefono con l’Agi Andrew Gardner, segretario di Amnesty international in Turchia. E’ un reato esistente in Europa, “ma nessun Paese vi ricorre come in Turchia”.

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